Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932
718 M. Viscardini Apparve invece il sospirato paese al termine della valle, ap– pollaiato sulla cima di uno sperone, che usciva 1solato dal dosso della montagna come un corno di rinoceronte, e copriva il culmine della roccia, con le sue casucce nerastre, simile a un mucchio di scatole rotte: Il vetturale uscì dal suo torpore e anche il cavallo parve riscuo– tersi; due o tre strapponi alle redini e il ronzino partì di galoppo con tanto impeto che ci volarono via i cappelli. Nel Meridionale i cavalli i;;onocome gli uomini ; o non si muovono o scattano come demoni. Il cocchiere pareva pigliar gusto alla nostra sorpresa ; me- · nava la frusta nell'aria, sparando colpi da mortaio, infilava le curve a precipizio, _grugniva, fischiava, faceva versacci; e il legno correva come un direttissimo in ritardo. Poco dopo esso passò rombando sopra un viadotto di tavole, poco a monte del quale si vedevano le vestigia di un ponte rovinato; indovinammo di essere sul luogo del futuro cantiere, e sostammo alquanto almanaccando intorno al prossimo lavoro. In paese, la notizia che l' « impresa del ponte>> era sul luogo si diffuse in un batter d'occhio. I ter.razzani da un bel pezzo sentivano discorrere del ponte nuovo; ma s'erano abituati a considerarlo come un modo di dire -scherzoso, per indicare le cose che non si faranno mai. In un ambiente cosi scettico, la fede di Arcipaoli, che oramai si considerava come l'assuntore del lavoro, fece un'impres– sione favorevole. Egli largheggiava di nQtizie intorno al manufatto, traccia.va nello spazio la sagoma dell'arco, ne indicava le •dimensi oni e ga– rantiva di darlo finito in sei mesi. I carrettieri venivano a prenotarsi per il trasporto dei mate– riali ; piccoli cottimisti avanzavano proposte di accordi per gli sterri; fabbri e falegnami offrivano l'opera loro, e c'erano persino dei poveri spaccapietre all'antica, i quali, ignari della presenza di un rappresentante della .Ditta Excelsior, osavano mettersi in con– corr,enza con i miei meccanismi. Naturalmente non mi curai di an– ticipar loro una fiera delusione. Poco mancava alle cinque, ora dell'appalto, quando, nel bel mezzo della strada principale, mi vedo venire incontro un giova– notto: - È lei l'ingegnere Giusto Placido·? - mi domanda. Avrei vo– luto avere uno specchio, per guardare me stesso con sincera mera– viglia. Come mai ero conosciuto per nome in quel lontano pae– sucolo? - Ci sono in ufficio tre telegrammi per il signore, - sog– giunse il fattorino ; e mentre mi avviavo con lui a ritirarli, mi confessò con aria ossequiosa che, da quando c'era stato l'ultima volta il deputato del collegio, non s'erano mai ricevuti tanti tele- Biblioteca Gino Bianco
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