Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932

716 M. Viscardini io mi cacciai tra il suo compare e l'amico e, spingi qui, spingi lì, riuscii in qualche modo a separarli. Naturalmente dovemmo faticare assai perché non si riappic– cicassero. Erano come due magneti carichi di elettricità contrarie e bastava che uno si spostasse un poco, perché l'altro gli andasse dietro. Ottenuto un momento di tregua, Arcipaoli si tastò la nuca e sentì colare del sangue; si voltò allora alla fanciulla, che se ne stava tuttora armata d'ello zoccolo a qualche passo di distanza, e le disse, mostrando le dita arrossate : - Bella gratitudine! ... Era così confuso che scoppiammo tutti a ridere. Sospingemmo l'amico riluttante sulla vettura, gli fasciammo la ferita e, fattoci largo quanto bastava per passare, ripartimmo al trotto, lasciando quei maledetti ad aggiustarsela t1·a loro. - Ohe coppia simpatica! - esclamai ad alta voce appena fummo un poco distanziati. - Sapete chi sono, cocchiere? · - Eh, signorino! - rispose quello, tenendosi seduto di sgheml11) per poter meglio discorrere. - Voi non c6noscete questa gente da galera ! Quelli sono zingari e non capiscono che le bastonate. La– sciate pure che se le diano; è la punizione dei loro delitti. D'al– tronde, -'- soggiunse con l'aria di chi vuol dare il giusto a cia– scuno, - la moglie deve sempre difond'ere il marito : altrimenti quel che non busca sùbito, lo busca dopo. Io, vedete, sono uomo di esperienza. Mi ricorderò sempre quel che successe una volta· a Napoli coll'asinq del mio padrone. Quel povero asino, un giorno, si piantò sulla salita di Ohiaia e, per quanti sforzi io facessi, pun– tando sulle razze delle ruote e gridandogli ogni sorta di maledi– zioni, non ci fu verso di farlo smuovere. Eccoti che la gente co– mincia a raccogliersi intorno; gli sfaccendati a compianger':'~l'asino e a mormorare contro di me; e io giù frustate, per finirla presto. Volle il destino che passasse di là un agente per la prote7ione di>gli animali, con tanto di berretto gallonato e di bastone; guardato il carro, disse che era troppo carico per la complessione della bestia, si prese le mie generalità e mi appioppò una buona multa. Questo, naturalmente, non allievò di un pelo la fatica dell'asino, perché la salita se la dovette fare tutta da sé. Ma peggio fu quando giun– gemmo in una via traversa, fuori degli occhi della gente e del vigile ; allora sì, che gli levai i ruzzi dalla testa ! Parola d'onore, signori, gliene diedi tante, ma tante, che cred'etti di averlo ammazzato; però da quel giorno l'asino del mio padrone, non poté più incon– trare un vigile della protezione degli animali, senza ragliare di spa– v~nto e darsela a gambe, con tanto maggiore impegno, quanto più grave·era il carico che trasportava. BibliotecaGino Bianco

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