Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932
Il ponte di Santa Losanga 713 Er? v~ra~~nte f~li~e. Si ~a un bel protestare contro i privilegi e le mgrnstizie sociali; ma e un fatto che, quando l'uomo può farne suo pro, la vita gli par dolce. Un colpo alle tendine mi ·sottrasse agl'invidi sguardi dei viag– giatori, che sbirciavano, passando, i miei sonni agiati e senza ri– morsi ; smorzai la luce e mi a,bbandonai al vago dell'incoscienza. Mi. parve allora di· ritrovàrmi, d'un tratto, in pieno giorno. Guardai l'ora e vidi che mancava poco a quella indicata per l'asta del ponte. Il treno camminava a passo d'uomo. << Ohe succede ? )), domando. Va,do a guardare dal :finestrino, e vedo che al posto della macchina hanno attaccato uh rullo compressore. - Ah, questa è marchiana! - grido indignatissimo. Preso da un'ansia indicibile, mi butto a terra colla speranza di far più presto a piedi. Vedevo Santa Losanga poco lontano, in cima a una collina; e giudicavo che per le cinque, o vivo o. morto, ci sarei arrivato. Corro di furia lungo i binari fin che raggiungo un ponte. Guardo. Il Ponte di Santa Losanga! Già costruito! Nell'incubo di tale angosciosa constatazione J;'iapro gli occhi. Oh, dolce sollievo ! Sono in treno; è notte pesta e si fila a tutto vapore. Mi svegliai il giorno appresso nel punto dove la linea si bi– forca e ne comincia un'altra a servizio economico. Nella stazione, vasta ma deserta, non c'erano che tre o quattro viaggiatori infagottati che attendevano, parlottando tra loro, la partenza d'el convoglio. La locomotiva, col naso all'aria e la pazienza di un buon ani– male domestico, raccattava qua e là le vetture sui binari d'ov'erano disseminate; ne portava una con tranquillo respiro ad agganciarsi al treno e ripartiva in ceNa di un'altra, facendo mille andirivieni, come se non le riuscisse di scovarla nella nebbia. Alla fine se l'ebbe tutte. Rinculò, sbuffò, :fi-schiòuna diecina di volte e cominciò a correre traballando, come una botte sul selciato. I cuscini, su cui sedevamo, di un bel velluto porporino evane– scente, si sprofond'avano tanto al disotto dei bracciali, che i gomiti venivano a trovarsi al disopra del collo e la testa affiorava a mala pena a metà della ~palliera; dalla quale pendevano dei bei mer– letti antichi e impomatati, che lasciavano unà strana impressione di solletico dietro le orecchie. L'oscurità discreta favoriva il sonno. La brace di qualche si– garo, oscillante pei sobbalzi della vettura, agiva da ipnotico; il calore animale si trasmetteva dalle persone più accaldate alle più gelide e la combustione comune generava un vapore tiepido e spesso, che manteneva la temperatura poco sopra lo zero. Dopo due ore di simil viaggio, mi stavo giusto riaddormentando, BibliotecaGino Bianco
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