Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932

690 M. Oasella e irrazionali, c'era quella lingua franco-italiana di Rustic.hello, orribilmente incerta nelle forme, in continua esitazione di suoni e con una sintassi capricciosa senza alcuna giustificazione interna: una lingua che sembra fatta per turbare le prime dirette impres– sioni e trasportarci in una atmosfera trepida di miraggio dove le cose perdono la loro linea e il loro colore. La coerenza formale linguistica non è che un aspetto, sia pure talvolta all'apparenza pedantesco e grammaticale, dello stesso problema stilistico in– sito nell'arte. Una lingua mobile è un velo all'immediatezza espres– siva, quando lo stile, come quello di Marco Polo, ha la concretezza nuda e oggettiva delle cose a cui lo spir~to energicamente aderisce. Nessuno meglio del Benedetto poteva assolvere il difficile com– pito di fondere in una versione italiana i disformi e molteplici ma– teriali marcopoliani, ricostituendo l'opera originale nella sua unità di tono e di stile. Nessuno meglio dli lui. Non si trattava soltanto di tradurre in italiano passi di provenienza diversa e di giustapporli meccanicamente in linea, espositiva ; sì anche di incorporare in un unico passo o in uno stesso capitolo elementi forniti da redazioni lontane, di ricomporre unità disgregate e polverizzate, d'i prender posizione di fronte a versioni discordanti offerte da. testi ugual– mente stimabili, di avere il coraggio di restaurare, ossia di cor– reggere, dl'integrare e qualche volta di sopprimere, là dove la corru– zione d'el testo arrivava al non senso o all'assurdo: E si aggiunga anc6ra che dinanzi al materiale già raccolto e ordinato, anzi raccolto con quella prudente e generosa larghezza che non elimina il pro– ble:matico e l'incerto e giudica sua colpa più il difetto che l'eccesso, egli solo, il Benedetto, poteva sentirsi a suo agio per il pieno do– minio della tradizione testuale e, nei casi dubbi, di volta in volta, sottomettersi a una nuova fatica di accertamento e di revisione e migliorare notevolmente il suo primo lavoro. Cosi è avvenuto. E potrei anche documentarlo; se delle questioni filologiche) storiche e geografiche il Benedetto non promettesse più larga giustifica– zione altrove, a supplemento delle note che eh.i.udono la sua tradu– zione. Le lasciamo nell'ombra, quelle questioni, perché resti nella luce Marco Polo che ritorna. « Nella prima edizione, - scrive· il Benedetto nel proemio - ho ridato al libro di Marco, per quanto mi è stato possibile, la 'sua integrità; in questa gli h,o ridato, se non m'illudo, la sua bellezza. 1!: una vera e propria riconquista per la storia della nostra lette– ratura, ?he conosceva finora un !Marco Polo viaggiatore e scienziato, ma non sapeva di possedere in Marco Polo uno scrittore dati i tempi ed il genere, tutt'altro che trascurabile. I Fioretti' di San Fran?esco· non avrebbero certo un capitolo nelle nostre storie let– terame se un oscuro frate fiorentino del Trecento non li avesse con letteralità pia, trasportati dal latino in lingua toscana. !Mi au'guro Biblioteca Gino Bianco

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