Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932

La vocazione di Raffaello Lambruschini 659 o abbozzato un sistema di apologetica, sia pure secondo il nuovo indirizzo da lui vagheggiato, ma rimanendo sempre nel campo della teoria e dei primi principii. E infatti i lunghi frammenti che segùono alla citata «Introduzione» (sempre nell'Appendice più volte ricordata) hanno questo carattere. l<Jsignificativo il fatto, che tutto questo materiale (nell'edizione del Gàmbaro si tratta di un centinaio di pagine) sfa stato escluso dal Lambruschini dal pacco Dell'Autorità e della Libertà. Le idee fondamentali si ritro– vano anche qui; .ma in forma brevissima,,. Predominano invece com– pletamente le applicazioni specifiche al domma,, alla Chiesa, ai sa– cramenti: vi si parla d'ella confessione, delle indulgenze, del papa e dei vescovi, dei precetti ecclesiastici. Il teorico e l'apologeta è divenuto riformatore; e anche quando discute della fede e del dom– ma- in generale, si sente che l'interesse che lo muove è essenzial– mente pratico. Si tratta per lui di trovare un fondamento per quell'edificio religioso più spazioso ed aereato, in cui egli spera si raccolgano un giorno tutti i cristiani, e che_tuttavia, nella sua idea e nel suo desiderio, rappresenta pur sempre la Chiesa cat– tolica. Non fu questo nel Lambruscbini un cambiamento improvviso, un capovolgimento di vocazione. Le condizioni concrete della so– cietà ecclesiastica e le sue relazioni con quella civile attrassero la sua attenzione presso a poco nello stesso tempo in cui avvenne la sua trasformazione filoso:fico-teologica. Egli era stato, sappiamo, uno di quegli ecclesiastici, che nel conflitto fra l'autorità pontificia e il potere napoleonico, o, più genericamente: fra la Chiesa e lo Stato, avevano tenuto per la prima contro il ,secondo, fino a patire l'esilio _per essa. Ma al suo ritorno nella penisola italiana, quando il papa ed il clero avevano vinto la loro battaglia, egli non fu sod– disfatto d'el contegno dei vincitori. Scriveva in una lettera del 1826, ricordando quelle sue esperienze: « Io ritornava dalla terra stra– niera, io risalutava la mià seconda patria [Orvieto J, il soggiorno dove incontrai la CO)].danna ingiusta e dove poteva ritrovare il premio e la gloria; edi io avvezzo a gustare la dolcezza delle verità e le delizie disinteressate del cuore non potei nella piega che ave– vano preso glf uomini e le cose, trovare più quella consistenza quel ben essere d'i spiritò che era divenuto un bisogno per me» (Primi $Oritti, p. 273). Che cos'era questa «piega», venuta a turbare al Lambruschini le gioie del ritorno vittorioso ? Qui soccorre il passo di uno Zibal– done attribuito dal Gàmbaro (che lo pubblica in appendice a Del– l'Autorità e della Libertà) al periodo 1820-1825, e forse prima. Anno prima, anno dopo, d'el resto, non importa molto. Importa invece il confronto che qui vien fatto fra il contegno del clero ne « le pubbliche e private calamità, che sono come piovute sulla no- Biblioteca Gino Bianco

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