Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932
La vocazione di Raffaello Lambruschini 657 riordinarle. Mi sono persuaso che le verità morali e religiose ave– vano oggi bisogno di essere schiarite, elaborate, e attemperate allo sviluppo presente dell'intelligenza umana .... per rendere appunto queste felici verità influenti e benefiche c'era un mezzo che oggi non vale più; e ne può essere oggi valente uno che domani riuscirà inutile. Può essere stata sufficiente, e qualche volta utile l'autorità e la paura. A' nostri tempi non può esse_rloaltro che la ragione e la benevolenza .... Io gemo su. questo inganno di molte, altronde pie e dotte persone ; che in mezzo a un mondo interamente rinnovato, il quale ha appreso la lingua della realtà e dell'evid'enza, credono poter essere ancora intese parland'o tuttora la lingua delle astra– zioni scolastiche e delle autorità oscure.... Sì la Religione ha verità immense da discoprirci ancora, e non domanda meglio che di essere invitata costretta a manifestarle. Ella ha mille aspetti onde presentarci le verità già note, ha mille lingue per esporle ed è pronta a rispondere in qualunque linguaggio si interroghi)> (Dell'Autorità e della Libertà, Appendiice, pp. 313-314). Quando il Lambruschini scriveva queste cose,.·- a proposito di un articolo d'el Oonstit1ttionnel sul De la reli,gion di Beniamino Oonstant, - egli aveva già messo mano a un lavoro su La Morale e la Religione ; e le parole sul De Candolle facevano parte di una «Introduzione» ad esso. Nessun dubbio che si trattasse di un primo abbozzo dell'opera, che poi prese il titolo Dell' Autç>rità e della Li.bertà, e rimase incompiuta e inedita ugualmente. Abbiamo dunque chiara la linea di sviluppo del La.mbruschini. Egli era stato allevato, l'abbiamo già d'etto, in ambiente rigidamente ortodosso, e aveva avuto a maestri in Orvieto valenti teologi gesuiti, chiama– tivi dallo zio vescovo prima anc6ra della ricostituzione ufficiale della Compagnia. Già allora,..per verità, egli discuteva i suoi autori di dommatica scqlastica (come si vede d'a una lettera del 1810 sulla transustanziazione, in Riforma, I, P: CXLVI e sgg.); ma senza uscire da quella cerchia. Nell'esilio i suoi principii, com'ebbe a scrivere egli stesso (Primi scritti, p. 273), « lungi dal rendersi più assoluti, più ostinati, più ostili)), si erano «schiariti», i suoi affetti si erano « mansuefatti ». Aveva, cioè, abbandonato la rigida intransigenza e il dommatismo scolastico, che aveva professato sin allora. La Botanica del De Oandolle, - e, certamente, altre opere simili di lui e di altri, -;- gli avevano rivelato un nuovo metodo scientifico, un nuovo mondo di pensiero. Era il mondo della natura ed era il metod!o di osservazione. Egli vi trovava nozioni precise, ricavate dai fatti, distinzione tra le verità accertate e i punti ancòra dubbi, discussione tranquilla, terminologia chiara e con– creta. Questa sicurezza e precisione scientifica acquistavano per lui anche un valore morale. « Le vere contese, cioè la dli.sputa ira– conda e clamorosa, non si trovano mai in quegli studi che abbiamo 4~. - Pègato. BibliotecaGino Bianco
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