Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932
764 E. VITTORINI, Piccola borghesia, pure il microscopio sa scoprire, come in un, muochietto di sabbia, mi– racolose variegature .... · Ma il più promettente racconto del libro, se anche il ~iù diseguale, è La mia guerra. Qui la tendenza al fiabesco, - ,se pur risente anc6ra dei modi di quegli scrittori moderni, specialmente inglesi, che han cer– cato di rendere le .prospettive del mondo infantile in quanto esse hanno di più singolare e irripetibile, quasi d'una realtà sommersa e magica– mente riaffiorante nell'arte, - ha finalmente trovato un terrl:lno su cui distendersi e articolarsi appieno. Per questi fanciulli abbandonati a Gorizia sotto la guida d'un vecchio nonno rimbambito, la guerra che li attornia rappresenta il realizzarsi del loro mondo di sogni puerili, quella perfetta «vacanza>> fuori dal tempo che è il misterioso e irrag– giungibile ideale dell'infanzia. Il dolore e la morte non riescono ad in– cidere in questa sfera dove le apparenze sono tutta la realtà, e la vita non è che uno svolgersi di riti ,selvaggi e innocenti. Si vedano le pa– gine del ..colera, la morte di Lussia e la vestizione del cadavere (dove però una punta di compiaeimento ha forse turbato la compiuta, a,nonima risoluzione in fantasia). Si veda, sopratutto, la passeggiata sulle col– line prima dell'occupazione della città. E la fine dell'incantesimo: « Sentii finita per sempre la mia vacanza. Finita la guerra, finita la luna, e mi venne voglia di morire .... >>. Il ,signi,ficato del libro, qua e là affiorante, parrebbe essere quello d'un implacabile parallelismo fra realtà e sogno, destinati a non in– contrarsi mai: la vita « piccolo borghese ll, la costrizione dell'impiego, del matrimonio, per cui l'anima non può più fiorire che in malati vagheggiamenti e fantasie. Ma questo significato esigeva forse accenti sia pur solo latentemente drammatici da cui il temperamento del Vit– torini è -senza dubbio alieno : tanto che i suoi momenti migliori sono quelli dov,e il sogno, il vagheggiamento appare compiacersi di sé ed esaurirsi in una .sua propria realtà e felicità. È appunto su questa linea, insieme psicologica e fiabesca, compli– cata da qualche sottile aicredine, che lo scrittore potrà meglio ,svolgersi. Per questo sarà sufficiente ch'egli rinunci a certe insistenze, diremo così, fisiologiche, parecchio ingenue e nient'affatto nelle sue corde; e, nel– l'ordine stilistico, a certe eccessive amplificazioni e mitologie verbali che 8pesso .suonano falso (« Ero tutto in foglie, tutto in fronde d'addio fuori dal finestrino .... ll). Non è difficile infatti notare che proprio dove il suo stile è più spoglio, e libero dalle pretese dell'éoriture OJrtiste il Vit– torini raggiung~ i suoi effetti più in.tensi, dandoci l'immagin'e lirica d'una vita latente di desideri e d'istinti, che nel suo indifferenziato mutarsi, nel suo organizzarsi fatale trova un accento di patetica inelut– tabilità. Alcune novelle; come la Signora della stazione e La mia guerra sono già fuori dal limbo sperimentale e toccano l'arte. Non ci resta ora che attendeve il moment.o in cui lo scrittore, giungendo a vieppiù sor– vegliare la sua diffusa felicità, e quasi direi effervescenza espressiva (in cui pure consiste la sua miglior forza e promessa) delimiti e chia– risca i motivi profondi, oggi anc6ra in boccio, di queste narrazioni. SERGIO SOLMI. BibliotecaGino Bianco
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