Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932

752 E. PISTELLJ, Le memorie di Omero Redi casa e a metter pace tra quegli uomini. Lo stesso zio Emidio era oodino si, ma a modo '.Suo; da giovane, all'Università di Pisa,. era stato ~iberale anche lui; poi, in odio alla supremazia piemontese, a1. cc buzzurri», era tornato fedele alla vecchia Toscana. Era del resto un bell'umore e spesso ripeteva: Se non son matti non oe li vogljamo (la qual frase, assicurava lui, era la parola d'ordine degli scolopi). Quando dopo il '70 cominciò a circolare nelle scuole la gramma,tica latina dello Schultz, tradotta da Raffaello Fornaciari lucchese e. stampata a T'orino, lo zio Emidio dioeva ai fratelli liberali : - Sietè entrati in Roma, e per intendere il latino avete portata in ta.sca una grammatica tedesca, stampata da un buz– zurro. E questo idiota di lucchesuccio che non si vergogna a tradurla! - (Questo zio Emidio oodvno doveva- avere l' invettiva concisa, come un'epigrafe). Ma la figura che campeggia nelle Memorie resta lo zio Venanzio; è in lui, tra tutti i suoi vecchi, che il nepote si riconosce meglio. Per farne il ritratto il padre Pistelli non si è servito soltanto dei ricordi suoi e di famiglia; è tornato indietro; è andato in. archivio a cercare tra le carte del governo e della polizia di Lucca sotto il Duca Carlo Ludo– vico di Borbone. Ché lo zio Venanzio da giovane, per il suo carattere fiero e insofferente, aveva dato da fare un -po' a tutti. Per non contrastare troppo col padre s'era allonta.nato presto di casa e a vent'anni (nel.1830) si era arruolato a Lucca nell'esercito del Duca. Che esercito che ducato e che Duca fossero quelli, il padre Pi-stelli ce lo dipinge al vivo in poche pagine cosi bene compensate tra il colore e la critica, tra la storia e la cronaca, che ricordano i migliori boz– zetti granducali del Martini. Anche nel ducato di Lucca, come in tutta la Toscana, le cose politiche andavano un po' ,sul serio un po' da burla; ma certo nel 1831 (l'anno di Ciro Menotti a Modena) un processo per subornazione e cospirazione liberale tra militari, per il vento che in quel momento soffiava dall'Austria, anche a Lucca poteva .finir male. Manco a dirlo in quel _processo c'era coinvolto, anzi era il primo tra gli accusati, il sergente Venanzio Pistelli. Il quale nel ,sopportare il car– cere, nel subire e nello sviar,e gli interrogatorii, nel tener fermo e non comprometter,si, fu bravissimo. Molte ore nel carcere le passava can– tando e con così bella voce che una volta un giudice andato a interro– garlo, restò fuori della porta e prima d'entrare lo lasciò finire. La povera mamma veniva ogni tanto da Camaiore, si appostava sui bastioni di fronte alla carcere per vedere il figliolo dietro l'inferriata e per sentirne la voce che cantava : Chi per la patria muore non muore mai.... Ma in– tanto il padre, il dottore Ermenegildo, oodino, gli scriveva (e certo le lettere passavano per le mani dei giudici) che piangeva sì la sorte del figliuolo tr1;1,viatoma cc non già pel castigo che soffriv~ sibbene per la cagione di tal castigo ». ' Lo salvò dalla condanna (che poteva anche essere capitale) il suo fermo contegno e alla fine una specie di amnistia ,del Duca. Ma quando ancora la sua sorte era in pericolo, racconta il padre Pistelli che una mattina a Cama_i~re, cc al nonno (il padre appunto di Venanzio) che tor– nava dalle ,sue v1s1tefu consegnata sulla piazza del paese una lettera che veniva da Orvieto. L'aprì subito, e appena ebbe letto che in quella BibliotecaGino Bianco

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