Pègaso - anno IV - n. 6 - giugno 1932

744 0. FLACCO, Odi ed epòdi ecc. natura rimaniamo chiusi nei torbidi nostri interessi ? Da questi versi di car~ttere idillico H Mocchino giunge gradatamente alla poesia civile, seo·uendo uno schema non molto diverso da quello per cui dal Pascoli dei P;emetti si risale al Pascoli di Odi ed Inni. Credo che ne derivino due diverse incertezze al commento. Troppo spesso il Mocchino scopre in Orazio as'Petti d'ironia moderna: io credo se_ria, non so!o l'arte! _m~ anche la materia dell'arte nell'ode XXVII del hbro III, dai propositi di morte d'Europa, solennemente retorici, al ,sorriso e alla parlata ~i Venere. D'altro lato forse il Mocchino troppo concede alla moda nella ri– valutazione del Carntolatino. È vero che la Roma d'Orazio è la garanzia del suo •stoicismo privato, dai° quale trae la sua forza poetica: ma è naturale che la poesia, grande soprattutto dov'egli canta lo stoicismo privato direttamente, vada attenuandosi a mano a mano che il quadro diventa più vasto: niente di nuovo subentra, e l'ispirazione gradata– mente -s'illanguid_isce. Seguendo forse il Romagnoli, la tendenza polemica contro la filolo– gia tedesca del secolo scors:o, che nel libro mi sembra d'intravvedere, rischia d'eccedere come nel commento al congedo del libro III, dove è una punta contro Catullo, sospetto di mitologia ornamentale e di sen– timento capriccioso. E •deriva forse dal Romagnoli un eccesso di vena nelle interpretazioni, come nel commento alla conviviale XXVII del libro I, dove la ricostruzione delle circostanze da cui l'ode è sorta è fantastica. Non che il Mocchino dia come ,dogma le fantasie: ma allora, a che giova? E non capisco perché il Mocchino, che giustamente re– spinge altre divisioni dialogiche poco attendibili nelle odi d'Orazio, di– vida quella d'Archita (XXVIII del libro I) in modo cosi artificioso, facendovi intervenire tre personaggi, di cui uno perfino monologheggia. Pare a me evidente che l'ode è tutta un discorso dell'ignoto naufrago, che prima si rivolge ad Archita, canzonando l'uomo illustre, ma morto al pari di lui, e poi al na;u,ta Orazio. Scendendo. alle minuzi,e, non suggerirei di tradurre, nell'invocazione. d'Orazio, O grata testudo salve (ode XXXII del li.bro I) quel salve in « sorridi » : non è certo Orazio che farà sorridere una lira. E finalmente non mi persuadono alcune (pochissime) interpretazioni dei passi con– troversi. Nell'ode I del libro III, traducendo il passo: est, ut viro vir latius ordinet arbusta sulcis, il Moccbino introduce una complica11ione inutile, intendendo quel vjro vir come « l'uomo per l'uomo» : mentre quel vira pare a me .soltanto il secondo termine del paragone dipendente da latius. Altro non v'è da dire su questo commento, che per il resto è tutto bello, utile e caldo. L'Orazio di Nicola Terzaghi (Formiggini, Roma) ha scopo divulgativo. e secondo l'uso dei manuali inserisce notizie sull'opera d'Orazio nella narrazione -della sua vita. Alla critica estetica appartiene invece rigo– rosamente l'Orazio del Turolla: e dirò subito quale mi sembra il suo. più pericoloso difetto. Il critico tende a raffigurare la. storia della poesia nell'alternativa di alcuni atteggiamenti tipici dello spirito umano e definitili prima nel loro complesso, scende ai poeti per dimostrar; quanto_ e come appartengano a quell'atteggia.mento. Più precisamente, la storia della poesia, gli si presenta come un alternarsi di poeti il cui BibliotecaGino Bianco

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