Pègaso - anno IV - n. 5 - maggio 1932
Amici 561 quel piccolo grido soffocato. Nel cambio coi granatieri, sotto il Pecinka, nella obbligata lentezza delle co1I1segne,quel fermar,si a -0gini passo, quel riprendere il caminino e poi fermarsi di IIluovo, inciampare !Ilei sassi, battere 001I1trole pietre aguzze del cammi– namento, il freddo dell'alba vicina avevano fatto del femore e della tibia un pezzo solo, mterito, indolito e gonfio sotto le fasce che strmgevano. << Si pieghi, tenente. Vuol farsi ammazzare?>>. Di tutto questo, si, !IlOlll era rimasto che Ùlll segno per il cambiamento del tempo. La visione di quella notte, sfocata dalla lontananza, pa– reva il racconto fatto da un altro. Tanto lontana che vi si muo– veva dentro Ulllessere più buolll,o, più eroico: quasi un bambino, che si buttava !Ilel pericolo senza sapere. Il passare che fece di una mano sopra il ginocchio gli rese la coscienza che quell'uomo, o quel bambmo erlt lui, smarrito in Ullla pr,ova troppo forte, e il gesto si trasformò in ullla carezza che s'illldugiava cald-a e affet– tuosa. Il gmocchio era il suo e no!Il lo avrebbe ceduto per tutto l'oro del mondo. Nell'incwtarsi in questo pensiero gli venne fatto di sorridere. Forse il sorriso lllacque, come una scmtilla, dall'i!Ilcrocio di questo colll un altro pensiero. Di quelli che nasco!Ilo nell'interno e pare invece che li dica un altro al tuo oreochio. « A!Ilche a quest'altra guerra anderai tu, Giorgio. La farai tu per Roberto, per tutti i Robe.rti che v'acoompaginerwno alla stazione e prometteranno di raggiungervi ool treno che segue. È un destmo, oome un altro)). - N-o!Ilimporta essere stati illl.guerra per avere di questi se– gnali per il tempo, - osservò Roberto schiacciando un mozzicone di sigaretta nel portacenere. - Basta una scarpa stretta. - E tutti e due si videro, in un momento, nello specchio d!i. fronte, ma ognuno guardò veramente e solamente se stesso. Come li avrebbe visti chiun– que, ognuno per conto suo, ognulllo nelfa sua straida, cogli oochi davanti a sé, e ,di comUille no!Il c'era che il tavolo, perché anche le beva,nde erw-0 diverse. Quello che credeva- d'esserè più delicato no!Il ascoltava- che il suo dolore e, se si v.olgeva verso il oompagno, era per chiedere che l'ascoltasse, per sopraffarlo, .magari, col suo dolore. L'altro tagliato a colpi d'aocetta nelle spalle e Ìlll tutto il corpo robusto, parlava e s'arrabbfa,va per conto suo, ma aveva bisogno d'un'ombra accanto a sé per eccitare il suo malumore. Visti nello specchio, eogli sguardi fissi, diritti davwti a sé pa– revano due viaggiatori di ferrovia che si trovaino, senza oo!Iloscersi, nello stesso scompartimento e non si scambierebbero parola, nean– che se viaggiassero dia Roma a Parigi. A un certo momento lo sentirono anche loro d'essere arrivati a una stazio!Ile che non si sopportavano più, tanto che fecero ÌIIlsieme il gesto di battere con una mo!Ileta sopra il vassoio per chiamare il cameriere. 36. - ngaso. BibliotecaGino Bianco
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