Pègaso - anno IV - n. 5 - maggio 1932

634 E. SCAGLIONE, Bestie parlanti: apologhi rimati a,ssempri ecc., confessavano candidamente il loro giuoco e dicevano che la ben architettata favoletta animalesca era il « ,soave licore » sull' « orlo del vaso» onde l' « egro fanciullo», cioè la povera umanità ignara, tran– gugiasse ~on il minor disgusto possibile l'amara tisana della morale. Non saprei dire se quegli scrittori fos,sero in piena buona fede_o ~e oer– cassero cli illudere se stessi: il fatto è che io vedo la cosa assai diversa– mente e alla spiegazione ora addotta sostituirei quest'altra, che mi sem– bra molto più plausibile. La -introduzione,. cioè, degli animali nelle favole non sarebbe ,servita già a illeggiadrire quella cosa grave e tediosa che è la Morale, sia pure spicciola; bens:ì a nascondere la incredibile povertà di quelle «morali» . .Supponiamo che in luogo cli quell'asino, di quel leone, di quella volpe, di quella rnusca o di quella capella, si fossero introdotti a parlare uomini veri e proprii, sia pure i più inveterati e< cafoni » della Beozia, e per esempio alla nota truèulenta scena del lupo e dell'agnello si fosse ,sostituita quella di un malvagio brigante che sgozza freddamente un mite pastorello dissetantesi alla scaturigine del ruscelletto, l'i:mp;res– sione ,sarebbe stata del pari terrificante (e forse un poco meno, ché il nostro gentile animo tende più a impietosirsi •sugli agnelli che sui pa– stori), ma il giudizio critico sarebbe ~ato assai severo sul contenuto morale, ~ qualunque appiglio essere buono al prepotente per sopraffare il debole, - che si sarebbe trovato incredibilmente ovvio e puerile. La– sciate invece che agi•scano e parlino le bestie! Per quanto esperto della finzione, il lettor,e, antico o moderno, non potrà mai difendersi dalla dolce illusione che quelle bestie realmente parlino ed operino, nel male e nel bene, e allora quella misera massima, morale o politica, che, espressa <lall'uomo, sarebbe parsa piatta e comune, diventa, espressa dalla bestia, di rara e preziosa arguzia. Di fronte a, quell'asino che prende a calci il leone ,degente, e simboleggia i fenomeni più comuni della ingratitudine e della vigliaccheria, noi permaniamo compresi di reverente meraviglia, senza pensare che siamo stati chi sa quante volte spettatori o vittime degli stessi fenomeni, e quaisi ci par() che ,sian loro, quei dotti animali, che rivelano a noi le grandi leggi morali che reggono la società umana, meglio di quanto non· sappiano fare i più profondi trattatisti e i più eloquenti predicatori. Insomma, s,enza voler fare il vichiano per •spiegare l'origine delle favole e la universale accettazione di esse, voglio dire semplicemente che paiono a me, - e parlo in mio nome esclusivo _ la più sciocca cosa che sia mai uscita dal cervello umano e che s,:rvono ' ' nella vita morale dei popoli, anche men.o di quanto servano nella vita politica, i ~iscors_inelle farmacie di villàggio. · ' , Questa mtroduzione non sarebbe certo la meglio appropriata a pre– sentare un libro di favole rimate, ·delle quali si vuol dire assai bene s<>. la mia intenzione non fosse, appunto, di elogiarle in q11anto poesia'. e ignorarle in quanto favol(l. Dicono che il maggior favolista, stando alle ~erarchie stabilite nelle storie dei generi letterarii, rimanga sempre il signor Della Fontana (per dirla imbrianescamente), eppure quasi nes– suna delle sue favole, non meno dei celebri e salaci conti è veramente originale in. quanto al ·soggetto e alla sua .deduzione moralistica. E per- . ch_é~llora vivono eterne nella vita dell'arte, laddove son sepolte e impu– tridite tante favole, di pura invenzione, di altri, anche illustri, scrittor~ ? BibliotecaGino Bianco

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