Pègaso - anno IV - n. 5 - maggio 1932

P. MIGNOSI, Orescere 633 Se dovessi cercar parentele a Mignosi anche da questa parte, credo che tornerei a nominare Papini: per l'imaginazione colorita e soda e nello stesso tempo per non so che aridità, la quale fa nervosa la pen– nellata, dura la linea, scabri e resistenti fin gli a;spetti negativi delle cose, fin la rappresentazione della loro vanità essenziale, fin l'annichi– lamento: Così in questa sonnolenza. senza sogni di verdura i monti han perso la pendenza le colline si son fat~e pianura. Camminare &empre avanti senza scendere e senza salire, camminare fino a morire col sole in cielo e senz'ombra davanti. Non riconoscersi più in questa opaca eguaglianza : distanza senza distanza, giorno che non finisce più. Qualche anno fa, quando lessi, di Mignosi, la Messa della Miseri– cordia {una parabola atteggiata a tragedia, in tre quadri) mi tornarono in mente questi tocchi del ritratto di Papini disegnato da Serra: « la– grime di passione gocciano sul viso maligno ,e ,sembrano creare nel– l'animo la solitudine di certe campagne penose, pietrificate e sconvolte sotto un cielo cattivo». L'esortazione a conformarsi alla volontà del Padre, ch'era la morale cristiana della Messa della Miséricoràia, acqui– stava, almeno ai miei oreoohi, non ,so che ,stridore di contenuta asprfzza polemica. Voglio dire che Mignosi, - il quale del resto è, come Papini, anche un dichiarato polemista, - ari:iva, come Papini, « attraver,so una specie di rancore, alla sua ~uperiorità ». Definizione, anc6ra e sempre di Serra. Per Novelli è altra cosa. Più pietoso di se stesso e d'altrui, la sua poesia è come intrisa da una pallida luce di limbo, che la fa soave, mentre quella di Mignosi s'accampa cruda, quasi mordente. PIERO NARDI. EMILIO SCAGLIONE, Bestie parlanti: apologhi rimati.· - Scaglione, Na– poli, 1932. L. 10. Dai tempi oscuri del frigio Esopo, o di qual Babrio ,si voglia per lui, ai presenti, luminosissimi, del nostro el1qgante favoleggiatore Pancrazi, i moralisti han sempre tenuta p,resente questa prudente massima: che le grandi questioni morali vanno esposte e ragionate nei poderosi trattati a uso dei dotti, le mediocri nei manualetti per le scuole, e quelle spicciole nelle favolette in rima o in prosa, in cui animali, piante e cose manu– fatte rappresentano una piccola azione o drammatica o comica, e quindi . viene il favolista, .serio serio, a cavarne il succo morale. Gli antichi scrittori di codesta puerile letteratura di favole, apologhi, monimenta., BibliotecaGino Bianco

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