Pègaso - anno IV - n. 5 - maggio 1932

A. P ALAZZESCHI, Stampe àell' '800 623 a dirittura, m'è parso di assistere a uno di quegli spettacoli cari vent'·anni fa, ora caduti e dimenticati, a uno spettacolo di « varietà, ii, e dei più indiavolati. La memoria anc6ra ricorda che una tale messin– scena non era per nulla disprezzabile (o la dispr:ezzavano gli imperter– riti ingegni; i martiri dell'intelligenza pura); era anzi tutta lieta, rie.ca , affabile, mezzo malinconica e mezzo furbesca, preziosa anche nelle parti deteriori, spesso allucinante, e quasi sempre alla fine ci mandava a casa addolciti da una cordiale tristezza che, se proprio non ci- faceva cantare nelle .strade, den.t.ro- ; si, ci lasciava una puntura. Eravamo giovani allora, e contenti di poco; e non ci sapeva male di spendere rper un nonnulla il nostro felice dono di commuoverci. Se lo spazio me lo concedesse io vorrei trascrivere qui, .secondo un disegno metrico, gli specimen di quella materia e di quello stile com– posito che m'è parso di ritrov:are nel libro di Palazzeschi. E, anzi tutto, punterei su èerti residui da « opera comica ii, sru certe insistenti e fre– netiche sillabazioni: « Si, bello, caro, si, si; bravo, sei stato bravo, bravo davvero, ora -scendi, pianino, attento, adagio, tienti forte, ,scendi, scendi, basta, piano, giù, attento, caro, ai piedini, attento alle manine, giù, adagio, bravo, bravo, bravo, scendi, giù, giù caro .... ii (che sono un coro di voci a Aldino di due anni arrampicatosi fin sul dodicesimo scalino di una scala lunghiss,ima). Poi, mi divertirei ad allineare alcuni curiosi effetti verbali e trovate esilaranti : « N ac,chi, Nicchi, Bue.chi, Buricchi, Tirli, Zirli, Ohiappino, Buzzino, Lischino ii (che son tutti nomi di gatti che caprioleggiano nella fantasia). E dialoghi colti a volo a teatroi piovere sospesi dal loggione .sull'acuto odore delle aran– cie sbucciate: << Narciso, Riffa, Pizzuga, Bocca, Bistec.che, Alfredo, o Gino, Icché tu vòi? Sie!. .. Noe !... ii, « Lunghino, Porfirio, Pidocchio, Striscie, Frit,tura, Che paghi da bere? E' un' ho cenato! Noe !. .. Sie!. .. >>. E resti di canzoni scoppianti di riso, che il tempo s,alverà, com'è certo che non ,salv,erà tanta poesia sudata: « Una sera .... du' sere.... tre ,sere.... ma tutte le ,sere ora eh ?... Schiccherona !... Ora eh? ora eh? i>. E dove non: inventa di suo, toglie liberamente in prestito; e mescola romanze e motivi d'opera, li ottocento musicale glo– rioso e il romanticismo latteo del 'l'osti, il linguaggio di maniera dei librettisti e quello grandeggiante dei tragici, e riiso e tristezza. La ma– teria dell'Incendiario insomma, scompaginata, as,sruporata parte a parte nella ,sua prima origine, ora: distesa, ma raro, in uno stile dimostrativo, ora sceneggiata con un fare largo, arioso; sempre a ogni modo come un divertimento, e senza la grigia maniera ·degli innamorati mesti del tempo perduto. Queste Sta.mpe sono 1a riprova che la poesia dell'lnoendiario, che parve ,strana tanto e fuori della tradizione, era nata, nientemeno, dalla vita stessa pratica di Palazzeschì. Guardate agli argomenti. Donne e donne e donne. Vecchie quasi tutte, maniache, senza umani affetti; curanti poco del prossimo, vicine, col cuore; ,solo alle l;>estie. Di bellezza non è esempio. Stort(\, nane, gobbe, giganti, e vestite come sul palco– scenico. Gli uomini vi ,sono quasi assenti, o sono assorbiti nell'-orbita di questo strano mondo femminile; ma gli animali, quanti·! Gatti, cani, uccelli rari e nostrani, scimmie, topi bianchi, ,pesci rossi; e in BibliotecaGino Bianco

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