Pègaso - anno IV - n. 4 - aprile 1932
• A. CAPASso, Il passo del cigno !i05 di avvertire un'eco della poesia di Ungaretti, di quel ,suo respiro di nulla quella sua musica consumata all'estremo; ma consumata cosi non è 1~ poesia di Capàsso, anzi trascritta con una. estensione e sostenutezza, che se non fossero apparenti, verrebbe fatto di peu,'3are al modo proprio di Montale, e al suo spietato rigore. Il verso invece qui gira largo, non aderisce mai all'argomento, ma continuamente lo elude; e mena, per usare una frase irrispettosa certo, ma chiara abbastanza;- il can per l'aia,. Cosi in certe opere moderne accade che un parlare sempre piano, deserto, è inghiottito d::i,un'orchestra insaziabile. I personaggi, sulla scena, certo si diranno di gran cose, ma lo spettatore non ode il puro nulla, e gli par di assistere alla celebrazioue .del più oscuro ·dei misteri. Vogliamo noi negare, per questo, ingegno !}i lirico a Aldo Capasso ? Capasso è anc6ra cosi giovane! Ma se avesse aspettato, dagli anni al– meno, e dall'esperienza, che quella sua stanchezza di sensi si consumas,se in -dolore vero,_ sarebbe stato un bel guadagno. Oh ci dica invece chiaro per quali ragioni la sua noia, la s~a ·sazietà di tutto, è un concetto della vita, e su che basi è fondata! Non vorrà pretendere che ci persuada quell' apparente sapor,e di logica che è nel ,suo discorso, e quella presunzione d'una verità acquistata a duro prezzo. Ecco, che egli sia,· come assicura, «crocifisso>> al suo corpo «oscuro», e che, niente– meno, se lo porti addosso (come ?), e ne senta perfino il peso, questo è ·per lo. meno un errore di parlar metaforico. Non che sia difficile capire quel che vi è malamente espresso : ma, nei primi due versi della prima canzone, trovare questo sbaglio di s'tile e di determinatezza, fa specie. E veramente il corpo, con tutto il suo peso, grava sulla poesia di Ca– passo. Anche la suà voce, la « voce dell'anima», ci:mfessa egli brutal– mente, « s'impregna d'un sapore di carne, passando per la sua bocca 1> ; e la carne, la, carne, la carne, gli· è sirena, e l'ostacola nella via di perfe– zione; sicché, proprio, non sa aspettare altro scampo che la morte. Ma l'aspetta davvero ? Dopo tante deliranti proteste, quasi in fondo al libro, è curiosa un'invocazione come questa: Tempo col tuo passare prestami il· tedio delle cose tutte che sono tempo e passano, ch'io sia innamorato della Morte al.fine. - M'ama? non_m'ama ? - potrebbe la morte dire, se alla morte im– portasse di 0apasso. Ma non l'ama, no. Nella sua poesia, la morte non è po;i una cosa seria. Allor ch'io scordi _di morte il nou?e, forse un· tardo crescere di vegetali voluttà mio porto sarà, meglio che i sogni così pronti a morire. E poi subito disdicendosi : Vita e morte sorridono mutuamente; non so quale è l'Amata. BibtiotecaGino.Bianco
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