Pègaso - anno IV - n. 3 - marzo 1932

L'arte dei Poliziano Senza àlbore o timon; né veggio !stella, E. il ciel suo isforzo contro mi rauna: Pnre il cammin da tal nocchier m'è scorto, Ch' i' spero salvo pervenire in porto•. . 313 Ma, è difficile che l'elemento gnomico sia sempre così incorporato in un parlar per figura, e dedotto con tanta eleganza; più spesso o pesa col suo peso, o si sfa in una musica astratta, impersonale, so– lita. E ci son tutti i temi tentati e registrati, dall'affettuoso al __, satirico, quasi ad orecchio ripetendo il tono d'ella poesia popola– resca, con la penna più che con l'i:ngegno .. Ci sono anche i motivi dotti, c'è Guinizelli e c'è Dante, e c'è Petrarca, il più difficile Petrarca, quello della canzone Chiare, fre– sche, e dolci acque. Se avesse il Poliziano la capacità di continuare e far progredire un motivo lirico, s'è visto; s'è visto nelle Stanze l'ottava, se non proprio scomporsi costantemente in otto membretti, quanti sono gli endecasillabi, in quattro sì, ed era raro vederla divi.sa in due sole parti. Queste sono prove certo esterne, ma portano una lo ro ragione profonda, e già l'abbiamo trovata in quel conten– tarsi il Poliziano del particolare, e della sua essenza: le essenze dei singoli particolari poi facevano da connettivo nella strofa, fissando quella spiccata struttura corale, che è il punto più alto della sua arte, il contrassegno e, come dire, il fiore prezioso. Ora, con questo corto respiro, sebbene compiuto in sé come jn un circolo vivo, poteva il Poliziano concepire e costruire una canzone ? Ed essendosi pro– vato a imitare la più alta dellP canzoni petrarchesche, che quasi sconfina dalla lirica monodica, dalla melica, e ne fa una rappresen– tazione esaltante, poteva egli reggere al confronto ? JJf onti valli antri e colli .... Che cosa d'unque ne è nato? Un susseguirsi di voci, .di espressioni delicate, ma stanche, che non legano, e una malinco– nia che non eccita il canto, ma lo smorza e via lo disperde. Quell'aria di festa invece, che noi abbiamo tante volte notata nelle Stanze, la ritroviamo anc6ra qui, ma solo nelle ballate, che sono la naturale mescolanza di stile popolaresco e di stile dotto. Qui, sempre, la riuscita è nel saper mantenere l'equilibrio, secondo, s'intende, il particolare timbro dell'ingegno. E se ci sono esempi di poesia borghese, casi da novella, come riei rimatori burleschi (E' m'i111,terviene, e parmi moZto grave Come alla moglie di Pappa le fave, e Donne mi,e, voi non sapete Ch' i' ho el mal ch'avea quel prete), questa non ,è quasi più poesia, ma prosa, arguta prosa, che fa gran conto della novità delle invenzioni, quando non si tratta solo di novità di parole, indecifrabili (Egli è ver eh' i' p9rto amore Alla vo– stra gran bellcza, e Canti ogn'1ln, ch'fo ca.nterò, Dondol dondol don– dolò). Tutta la lirica del Poliziano, insomma, si riduce a tre bal– late sole, quelle appunto che la tradiizione di quattro interi secoli riverì. Io le graduerei a questo modo. Ben venga maggio prima: la BibliotecaGino Bianco

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