Pègaso - anno IV - n. 3 - marzo 1932

312 (}. De Robertis nutezza anzi che vi regna, di stile e di linguaggio e di rigore metrico, potrebbe far pensare a un melodramma proprio come fu concepito ai suoi primordii, da recitar cantando; e poiché vi manca la musica, il poeta l'ha, di.rei, supposta, con una versificazione tesa, alta, e che obbliga a una lenta enfasi. La musica certo avrebbe dato di suo quell'amalgama che manca ·ai va-rii stili: avrebbe dato all'ele– mento popolaresco il suo colore, ingra,ndite le parti gnomiche, aerato il ragionar sottile, armonizzato con più mesti modi il con– tinuo cantare. Avrehbe anche tolto o corretto incongruenze e stri– dori, supplito ai sùbiti trapassi, immesso una seconda vita in quelle scene patetiche e strazianti e segrete da antica pittura murale. Con– frontate con l'Orfeo l' Aminta. Lì davvero che la musica non avrebbe nulla da aggiungere, non dico alle parti narrative, che andrebbero se mai appena sottolineate dall'accompagnamento, so– stenute in una sorta di recitativo (il recitativo obbligato d'ell'altro tipo d' «opera))), ma neppure alle parti liriche, così analitica– mente modulate e trascritte, scorporate, dove la parola mantiene un semplice valore di rapporto. Se l'Orfeo sottintende la musica, l' Aminta a-dirittura qui la ricalca, sottostà alle sue leggi. E quando un'arte rompe a tal segno i propri confini, allora comincia la sua decadenza. L'Orfeo sarà un'opera scritta per metà, tutta in sé raccorciata, ripiegata, Dia è piena di suggerimenti; l' Aminta, in– vece è fin troppo scritta e sciolta e distesa. Piace quasi più a ri– cordarla. Pochi versi, edJ ecco gli altri essere richiamati a quel primo avviso, indeterminatamente, per una semplice attrazione so– nora. Un po' quel che accade per la poesia popolare, di cui è più facile nella mente ripensare un'idea d:i canto e goderne, che conten– tarsi della sua reale espressione e durata. Poliziano, di questa poesia, - rispetti e ballate e canzonette, - anche ce ne lasciò, da farne un libretto; ma quanto poca ce n'è rimasta nella memoria, e amiamo di rileggerla. Dei rispetti spe– cialmeilte. Abbiamo visto nelle Sta·nze la ricehezza del suo stile procedente per successioni e accordi. Quel succedersi e accordarsi ri!rnltava vivo e, direi, necessario, perché ogni verso aveva una sua pienezza, una sua figura, un suo accento. Ma nei rispetti non fa che ripetere, quasi sempre, il nudo schema: e il fugato d'elle Stanze· diventa una mera successione, d'un'ìmperterrita monotonia e fa– cilità,; l'accordo, se mai, risultl~ un repertorio di sentenze. Solo si riRcatta, quando può fissare un'immagine, anche una, e svolgerla e sostenerla con quasi un valor di simbolo: BibtiotecaGino Bianco Io son la sventurata navicella In alto mar tra l'onda irata e bruna, Tra le secche e gli scogli, meschinella, Cowbattùta da' venti e da fortuna,

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