Pègaso - anno IV - n. 3 - marzo 1932

382 R. ,PETER, Ola.ude Deb1issy rava il ritegno, che giungeva •Slinoallo spa,simo,. dell'artista a_con,f~sarsi in pubblico. V'era in lui una vera e propria chfficoltà, quasi un impos– sibilità organica, di esteriorizzarsi. « Il avait l'_amusement renf_ermé. Ses fétes véritables etaient en lui, non par dédaigneuse a:ffectation de sa part ni égo1Jsme,mais il semblait qu'une armure invisi~le le res~errat .... »: Pochi amici. ma, buoni (salvo poi a leticare ed a fare 11 broncio per mesi ed anni, come avvenne ,Per Louy,s); e n~tu~al~ente li sceglieva fuo: del– l'ambiente musicale. Non amava le rrnmom numerose (« Je ha1s les foules, le suffrage universel et les phrases tricolores ») ma non disdegnava dj ritrova,rsi regolarmente ad un tavolino del Caffiè W eber, osservatore attento, commentatore arguto. VVeber aveva preso la successione di Tor– toni c.ome luogo di ritrovo e di discus,sioni aooese fra artisti: di gusti un poco borghesi (come furono, sono e, credo, saranno sempre gli artisti francesi, anche i più geniali) Debussy ogni sera acqui,stava, il suo Temps all'edicola di giornali ch'è ancor oggi nella Rue Roya,Ie, all'angolo con il Faubourg St. Honoré « avec les memes amabilités fort g~ntiment ga– lantes et ,debitées du meme ton de métal à la marchande », poi, chez Weber, si .sprofondava nella lettura dell'articolo di fondo, che sorbiva scrupolosamente dalla prima all'ultima, parola. Giungevano amici e conoscenti, gente simpatica, più o meno: P. J. Toulet, fine scrittore che doveva preparargli una dducione per opera del shakespeariano Come vi piace (e la cosa non giunse in porto, non sri sa bene perché,-ma forse semplicemente perché era fatale che così fosse, come aippare dalla Corri– spondenza fra i due amici, oggi pubblicata), il decoratore teatrale Ma– xime Dethomas, Reynaldo Hahn e Marcel Proust, André Tardieu non an– c6ra uomo politico ed il vulcanico Léon Daudet, il caricaturista Forain e il paesaggista Paul Robert. La conver-sazione s'accendeva e talvolta degenerava in rissa clamorosa: allora Debussy, un po' assente, a8(?0l– tava, taceva e.... mangiava. Ce lo racconta Léon Daudet, in una delle sue brillanti cronache: « Parfois se joignait à nous Claude Debussy, mu– sicien de génie, qui a un front de chien indo-chinois, l'horreur de son prochain, un I'egard de feu et-la voix lé~rement enchifrenée .. sa consom– mation, - dis-moi ce que tu consommes et je te dirai qui tu es, - cousiistait généralement en un oeuf pas trop cuit, agrémenté d'un petit morceau de foie ou de rognon au j_us. Je légue ce détail gastronomique aux admirateurs de Pelléas et Mélisande, chef-d'oeuvre à mon a.vis du drame musical français contemporain .... ». Maniaco dell'ordine, un qua– dro non perfettamente a piombo lo faceva star male, e non aveva pace se non quando l'aveva raddrizzato: 'chi conosce i ,suoi mano,scritti mu– sicali non ha difficoltà a pensare il suo tavolo da lavoro - un tavo– lino piccino che lo aveva sempre accompagnato di casa ri.~ casa - or– dinato come una ,scacchiera, con le matite le pe:qne i tiralinee le' gomme le righe ben disposte in ranghi paralleli, al comando di un olimpico rospo di porcellana, Arkel di nome, che aveva, il duplice ufficio di fer– macarte e di portafortuna. Perché l'autore del Ma;rtyre de Saint-Seba– stien non credeva in Dio, - non voleva, riconoscere una volontà più forte della sua e preferiva tenersi aid un vago presentimento del de– stino, - ma era superstizioso (superstizioso come un fiorentino dicono a Parigi, di certo sbagliando il paragone); per nulla al mondo' sarebbe BibliotecaGirio Bianco

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