Pègaso - anno IV - n. 3 - marzo 1932
B. OIC0GNANI, Villa Beatrice 373 Anche con lo sm·ittore ? Anche. Dissensi ce ne sono stati nelle prime <lue parti: (c'è sovente, caro Cicognani, nei teatri più stipa.ti e accla– manti, un sordo romorio che cala dal loggione, e smorz a la con tentezza ùei battimani, un poco sospend(l l'animo perfino alle indurite maschere che ,schiudono le P.esanti tende sulla personcina dell'autore che s'affaccia pallido agli evviva : e tu fa' conto che io sia uno del loggione) : dissensi per quella scrittura lenta, franta; e non esser(\ mai ,sazio di dire, e rom– pere il periodo di parentesi, perché nulla sfuggisse; mentre, se mai, era il caso di alleggerir la pagina, fare un più crudo gioco di luce e d'om– bra, trovare un linguaggio allusivo, non ricalcato in grigio, indolito, più coraggio in rapidità. Parranno severe queste parole, ma a dirle ci conforta Oicognani stesso, che pur ha toccato, in più luoghi, quella ra– pidità, ha avuto quel coraggio. L'odio, per esempio, di Beatrice per la cr,eatura che nascerà, disumano quanto volete, non sarà, mai tanto energicamente espr€1sso e, direi, offerto alla vista, come in quella ,scena dove la madre, un giorno, la sorprende a « far delle flessioni >J, per abortire : « - O che ti metti a fare ? la ginnastica ? - >>. Anche le parole, qui, hanno un sobbalzo, un urto; e sentirsi scoperta così, inter– rogata, con quell'acoento, castiga più che dieci pagine d'introspettiva analisi e di delicature verbali. Cose così sono un acquisto; e fra un anno, fra dieci, delle trecentocinquantatré pagine del libro di Cicognani, il lettore andrà a ricercare la 202: « - O che ti metti a fare ? la ginna– stica?- >J. Ma ne cercherà anche, tra le altre, un'altra, la 292. « Un giorno, mentr'ella era li, con gli occhi in alto, improvvisamente sentì uno passarle accanto. ' Padrona! '. Ella non riconobbe chi fosse· quel conta– dino scalzo che s'era toccato il cappello e ora andava col passo elastico degli uomini scalzi, col falcetto in mano : e era già un pezzo avanti )>. A Beatrice che si trovava in quel punto, nella viottola del campo, con gli occhi come ossessionati da quel cappio di fune che penzolava da un ramo d'un albero, e le era tornata l'idea dE\l suicidio, della sinistra morte, quel passo elastiao doveva parere, non so come, un passo di danza, d'un uomo felice, felice di vivere, .di toccar la terra, leggero, Sf'iolto; e quel correre (e era già un pezzo avanti), non dico orrore di quel suo maligno proposito ma, proprio,-senza volerlo, incapacità anche a pensarlo. Era già un pezzo avanti. Perché la vita, naturalmente, re– pugna alla morte. Questo dare al lettore un punto di dov(\ partire, levarsi a volo, quest) è ufficio dell'arte vera. Creare immagini e simboli e, in un'opera narra– tiva commisurar l'altro discorso a quella brevità sapiente, a quell'ecci- ' . tante spinta in a.Jto. I segni di quest'arte difficilissima noi in Cicognam li abbiamo trovati : non sempre però il discorso procedere rapido, ri– spondere a quella spinta che s'è detto. Ora io vorrei, timidamente, sa– pere, se ci sono oggi romanzi che si ,siano anche soltanto proposto questo rigore di stile. Intanto ho il sospetto eh(\ il lettore, mettiamo di gusti i più affabili, di siffatti romanzi non arriverà a contarne che scomodino tutte le dita d'una mano. GIUSEPPE DE ROBEHTIS. jbliotecaGino Bianco
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