Pègaso - anno IV - n. 3 - marzo 1932
Ricordo di Pietro Ma,stri 355 poco più che ventenne fu gran parte nei oenacoli fiorentini. Era lieta stagione per la poesia ; folgorava nel declinante meriggio il vecchio Carducci, il D'Annunzio giovane seduceva, tra i due il Pascoli insinuava una nuova malia,. Certo c'era anora a Firenze é in tutt'Italia l'aria della poesia, qualcosa che nessuno saprebbe definire ma molti per for– tuna sanno cos'è. Per merito di Giosuè, di Giovanni, di Gabriele c'era in aria un fervore lieto, un gusto di lettere, un desiderio pronto 1 ,er cui una bella poesia., una strofa che appena cantasse avevan subito per sé mille cuori. I poeti giovani potevan sentirsi ,più giovani e più poeti che mai. Dicono che i poeti grandi rimpiccoliscono o addirit– tura, eclissano i minori. Sarà vero poi nella storia,; nella vita è vero i1 contrario. Quando il capitano c'è ed è glorioso, una piuma, del suo pen– nacchio ,svolazza, sulla, testa d'ogni soldato. Pietro Mastri nacque poeta allora: con animo e gusto suo, ma Jn quell'aria, il Mastri scrisse allora le poesie che furono rad.unate poi nei primi due libri, L'arcobaleno (1900), Lo specchio e la falce (1907). È di quegli anni una raccolta di prose critiche, Su per l'erta (1903), dove si legge tra l'altro una difesa della « poesia della natura» ed elogi non soltanto occasionali del naturalismo dello Zola e di Alfonso Daudet. L'in– telligenza e il gusto del critico ci dicono qualcosa anche sul Mastri poeta. Mastri fu subito immune da quel poco o molto di esorn~tivo, di par– nassiano e insomma, d'es,tetizzante ché si apprese subito agli altri. I temi restan quelli : i giardini, le fontane, i campi, le piante, le opere agresti, le :fioriture, gli uocelli, le lune, le stagioni col giro dell'anno tornano nella sua poesia come allora (o sempre) in quella di tanti; anche il ta– glio degli altri si ripete; sono quadretti, strofe a grappolo, dittici o trit– tici a richiamo, idilli brevi, moralità e apologhi. La minore ,poesia i~ liana in quegli anni (fuori dei cenacoli, oggi si potrebbe dire: il Panzac– chi a Bologna, il Marradi a Livorno, e nuovo poeta a Firenze il gio– vane Mastri) ebbe il reperto,rio e il laboratorio quasi in comune. Ma sotto la prima apparenza uguale sentite .subito nel Mastri un più ser– rato giuoco metrico; più elette (rare non dico) le rime; senari e novenarii ripresi con un piacere nuovo, i suoi versi; e la neonata terzina pasco– liana.... Ma soprattutto nel Mastri si .sente una più concreta verità. Questo poeta .sta più sul vero (c'entri per qualcosa anche la non lontana origine contadina? quella gente mi,a laboriosa, - ohe, nel suo breve Pe– lago in Mugello, - fece a:lla vanga .... la man callosa), un campo nei suoi versi resta un campo e non diventa un giardino; e se quel che fuma nel campo è concio, sia concio. Repugna al Mastri indorare la verità con le parole; piuttosto costringerà le parole poetiche al vero, èavando ma– gari dalla costrizione un altro gusto e piacere. Come il Pascoli? Il nome del Pascoli fu molto e troppo ripetuto a proposito del Mastri (e si può dire che l'etichetta pascoliana, con grande cruocio suo, gli restò); ma che cosa poi c'era di vero? Certo, il Pascoli agreste l'aiutò a vedere la natura in eoncreto; e il giovane Mastri si giovò ,gpesso del pronto avvio pascoliano (quegli interrogativi, quegli esc lamativ i iniziali) per portar via le eose e trapiantarle nel verso; e poi nel ver.so piacque anche a lui quel nitore della paro,la, singola, e il ritmo a un tra.tto f ranto quasi a mostrare la lucentezza interna delle eose. Così un BibliotecaGino Bianco
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