Pègaso - anno IV - n. 1 - gennaio 1932

La serva dalle calze rosse 61 sangue le più sciocche e velenose malsanie. No, non è l'adolescenza l'età romantica delle illusioni e dei sogni. Questa, quando viene, vien dopo, quando a quegli anni ambigui, -incerti, malati di pic– cole frenesie insoddisfatte, annaspanti fra nebulosità peccaminose, irrequieta parentesi fra il fanciullo che non c'è più e l'uomo che non c'è anc6ra, subentra la gagliardia della giovinezza vera, l'alba dei vent'anni. Il piccolo animaletto umano ha superato allora la malsana crisi di crescenza, ha lasciato dietro di sé le sue impurità, è diventato uomo, è guarito. La sua anima è ora veramente la zolla feconda in cui, per poco che il cuore e la mente sappiano seminarvi, :fioriscono illusioni; sogni, speranze, amore. Penserà poi la vita che verrà a buttar giù fronde e fiori. Ma la stagione bella, la sta– gione della poesia, è quella. È come una seconda verginità. L'ado– lescenza non è invece che la vecchiaia del fanciullo. È un'età maniaca lubrica e cinica, sorda ai richiami dello spirito, avida di ciò che v'è di più basso nel godimerito animale. Ciò che sembra pudore spesso non è che timore, diffidenza, ipocrisia. Nei migliori, il contrasto fra certe innate nobiltà che vorrebbero resistere e gli istinti che trascinano e traviano, è anche contrasto doloroso. Ma gli istinti :finiscono per vincere. Non pensate troppo male di me, né vogliate credere che io vo– glia prestare alle altre adolescenze il modello della mia. Chi rie– sce ad esser sincero si ricordi di se stesso. La mia adolescenza non fu né peggiore né migliore della sua. Per questo mi sarebbe quanto mai difficile mettermi sul sentiero delle vere confessioni. Tuttavia qualcosa c'è, se frugo in quel mio lontano passato, che posso pur rievocare anche a me stesso senza troppo avvilir.mi , anzi con quella strana sensazione che alle volte si ha di pr enderci in braccio da noi per compatirci e consolarci di qualcosa che ci fa pena e vergogna. È il ricordo d'una povera donna che si chiamava Bet– tina, e che veniva in casa nostra a mezzo servizio, nelle orè della mattinata, ad aiutare mia madre per le faccende più grosse. Era una donnetta sulla trentina, né bella né brutta, un po' paperottola, con gli occhi pesti e fondi e la voce rauca: e portava delle calze di cotone rosso che le servivano anche da portamonete. Me ne accorsi un giorno che in cucina la vidi infilarvici dentro, con gesto rapido ed abituale,. il cavurrino, il biglietto da due lire che mia madre le aveva dato per la spesa. Fiutai subito in quel fatto qualcosa di impuro, di illecito, e sebbene mi fosse sembrato una cosa. buffa e m'avesse fatto un po' ridere, non ne parlai con nes– suno, anche perché Bettina s'era accorta che avevo visto, e n'era rimasta imbarazzata e indispettita, e sotto il corrugamento della fronte gli occhi le si erano come incupiti. Io pensai anche, dap– prima, che fosse una ladra, e che in quel ripostiglio si nascondesse Dio sa che. E questo anzi m'interessò, e ci cominciai a fabbricar ibliotecaGino Bianco

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