Pègaso - anno III - n. 12 - dicembre 1931
I sessant'anni di Heinrich Mann 681 sociale guglielmina, e nemmeno la stagione neoromantica e p~st– nietzsciana ·di Mann si comprenderebbe senza lo Spirito della terra e Il vaso di Pandòra di Wedekind, né Violante senza gli sfrenamenti, di là dal bene e dal male di Lulù, l'eroina che in quei due drammi campeggia. Diciamolo subito. Frank Wedek:ind è un altro di quelli che non han capito Nietzsche. I primi_ sono gli stessi che, come oggi per Freud, credettero ieri di far del nietzscianismo seguendo senza freno la china dei propri bassi istinti goderecci. Non meno grossi di costoro, che non han mai capito come il superuomo fosse sopratutto un superamento dell'uomo dozzinale, gli imperialisti tedeschi si sciacquaron la bocca con la volontà di potenza mentre Nietzsche s'era sgolato a predicare che solo la fusione tra la potenza nuova e l'antica eterna spiritualità avrebbe condotto 1~ Germania a nuova gloria e grandezza. Terzi tra cotanto senno, ecco gli antitedeschi che, dalla guerra e dall'inflazione in poi, d'ogni ineseguibilità pa– tente o atteggiamento oscuro della Germania dan la colpa a Nietzsche come le famiglie borghesi danno alle cattive compagnie la colpa d'ogni scappata o traviamento dei loro figliuoli. In letteratura l'equivoco diventa fecondo e ne rampollano non pochi personaggi di Hauptmann, Sudermann, Otto Ernst e moltis– sime figure dannunziane: dal gaudente Andrea Sperelli al Corrado Brando che pel suo sogno d'Africa uccide, a.l Cantelmo che sceglie fra tre sorelle quella che gli fabbricherà Il superuomo, alla lussuria incitatrice di Basiliola e a quella dissolutrièe di Fedra. A quest'ul– tima più che alla prima s'avvicina la wedekìndiana Lulù, figlia della stessa unilateralità interpretativa. Se da un lato Zarathustra aveva consigliato di portare seco la frusta quando s'andava dalla donna, Nietzsche ne aveva dall' altro amata la perniciosità innocente. _Wedekind sente solo quest'ultima campana: dà la frusta in mano a Lulù, l'esalta come l'erotismo disgregatore della mediocrità fili– stea, ne identifica l'incoscienza col non moralizzabile spirito della terra e colloca sugli altari questa nuova immagine della gran mere– trice di Babilonia. E così Heinrich Mann, oscillante tra Wedekind e l'influenza cronologicamente dimostrabile dell'estetismo e del sen– sualismo dannunziano, tenta nei tre romanzi delle Gott,inen, _ Diana, Minerva, Venus, - d'incarnare nella duchessa Violante d' Assy uri ideale, quanto poco consistente vedremo, di superu– manità. Per la quale, molto più che l'amorale Ttirkheimer, l'eroina ha. le carte in regola discendendo addirittura per li rami da quei Vi– chinghi di cui Ibsen vecchio aveva invidiata la« robusta coscienza>>– « Ella approva preventivamente tutto quel che vuol sortire da lei)), commenta un suo ammiratore. Diana intangibile, ella passa BibliotecaGino Bianco
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