Pègaso - anno III - n. 12 - dicembre 1931
672 V. G. Bossi --------------·--- .di volgersi intorno alla poca carne che è rimasta allo spacco, come su una cerniera; ma la testa è come inchiodata per terra. Spara Gindo, spara l'amico mio: la testa del serpente mori– bondo è aperta, squarciata dai due colpi sparati quasi a brucia– pelo; ma il lungo fuso anc6ra si agita, si torce, e la coda indomita schiocca; picchia furiosamente l'erba, i cespugli, sollevando folate di foglie. Ma che serbatoio di spiriti vitali! Un altro colpo nel dorso : bisogna ucciderlo a sezioni, quasi che gli spiriti vitali èhe si ritraggono da una porzione del serpente va– dano a ingrossare quelli delle altre porzioni. Ma ora finalmente il serpente si allenta, si affloscia, si abban– dona: è inerte, proprio morto. I negri si appressano: con la corda legano il serpente per la coda, lo tirano. ·Allegri, vociferando, strascicano il serpente. Gindo mi dice che, al ritorno, lo scuoienmno, lo mangeranno : bollito, è meglio della cu,rne cli vitello, e che brodo! Però Gindo è desolato, si rammarica: per far pi·esto, per ri– guardo a noi ha dov11to ammazzarlo male, il serpente: rovinata è la pelle. Con la pelle, avrebbe fatto quindici, forse venti franchi : ma la pelle non deve avere strappi, mentr~ quella lì è tutta lacera, uno scempio. Ltt boscaglia intanto si ·è un poco diradata: i tronchi, - taluni non si potrebbero abbracciare in meno di cinque uomini, - si levano più netti, sgombri; il cammino è più agevole. Ma anche qui, ogni tanto, una gamba s'infila nell'acqua, s'invesca nel fango. Gindo si è rimesso alla testa della fila: esplora attentamente il terreno dubbio, indaga le segrete masse vegetali, e di tratto in tratto sosta, in ascolto. - Vedi: io, tu, - dice l'amico, - non udiamo nulla: loro odono. Hanno orecchio per ricevere e distinguere tutte le voci, tutte le minime pulsazioni della foresta. A noi, in certi momenti, la foresta può parere anche muta: e quando parla, a noi non parla che in un linguaiggio incomprensibile, che temiamo ma non inten– diamo. Per loro, la foresta è un'orchestra che sempre suona, e nessun istrumento dell'immensa orchestra disperde la sua voce nel coro degli altri istrumenti. Loro sono i music~ della foresta: n?i, noi non comprendiamo che la grancassa e i piatti. A mezzodì, ci fermiamo. Seduti sopra un rialzo del terreno, da cui la vista può spaziare per un breve tratto, togliamo le provviste dal sacco. I negri, in disparte, seduti accanto al cadavere del ser– pente, mangiano manioca e banane. Gindo, mangiando, racconta come si ammazzano a regola d'arte i serpenti, come si prendono vivi i serpenti, senza rovinare la pelle. Biblioteca 'GinoBianco
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