Pègaso - anno III - n. 11 - novembre 1931
530 L. Pescetti Carissimo Targioni, Ti scrivo questa sera stessa del giorno che sono arrivato a casa: dove ho trovato i miei assai tranquilli. Han mutato casa. Non ti scrivo ragguaglio dell'avventura di mio fratello: perché ne ho scritto ora lunghissimamente e piangendo all'Elvira 1 ): da cui an– derai e ti farai ceder la lettera, che glie ne ho dato comando io : dove sentirai come magnanimamente e da uomo greco e romano pro– prio morisse quel giovine che sopravvisse un quarto d'ora alla fe– rita. E lo scrivere della morte di lui sarebbe tema degno di Giacomo Leopardi. Il racconto ch'io fo in quella lettera è puro e semplicis– si mo, n on vi ho messo di mio né pur le espressioni :figurate : tutto è qua.le l'ho raccolto dalla bocca di mio padre dì mìa madre di mio fr atello e della serva. E proprio morì per noia della vita : non per amore: e se amore vi entrò, fu solo piccolissima cagione che unita ad altre più grandi lo spinse al passo: forse per isdegno di aver collocato l'affetto suo in luogo basso, come osserva mio padre. In somma è morto contentissimo dell'essersi ucciso di ferro a ventun anno. Adunque non fu una cosa a scatto : fu meditata voluttà di togliersi al reo mondo, perché egli moriva ridendo e sospirando lie– vissimamente, senza aver mandato né un gemito solo né un rantolo né un fremito, senza aver mostrato segno di dolore nessuno. Le sole parole che disse furono parole dette con soavissimo affetto a' suoi genitori; babbo per due volte, per tre volte mamma. E baciò la sua mamma, e morì. E avanti gli avea racquetati col gesto, e gli diceva zitti. Egli avea trovato la pace nell'agonia dove i vigliacchi che. chiamano vigliacco il suicida trovano paure e terrori e dolori e rab– bia di lasciar la vita. Oh, oh, il fratello mio morì come un santo eroe di Grecia : e di ciò nel dolor suo molto si compiace il mio po– vero padre. A sentir la schietta narrazione di quella morte, a me fra le lacrime venia la meraviglia e lo stupore d'aver trovato un animo grande così fra le bassezze SQhifose del .secoletto meticcio galeotto ruffiano. Addio addio : che non posso più : ma ora in me il dolore è più puro e più quasi direi caro a me stesso, perché ripenso con quanta :filosofia e grandezza d'animo, senza affettazione drammatica e ciar– lataneria nessuna, quell'eroico giovine ha messo in effetto la dot- 1) Come è noto, le letterè del Carducci alla fidan;zata sono andate perdute. Circa un anno prima del suicidio di Dante, il dottor Michele, che cercava affan– nosamente un'occupazione decorosa pel suo figliuolo, così scriveva al T. T.: « Sono il D.r• Michele Carducci, padre di Giosuè. Dante, mio secondogenito, ha implorato un posto fra i Corrieri Reali ; fate di tutto per lui; e se non, ran:nmentiamoci di .un destino pel medesimo nella Ferrovia centrale. Signore, ·sono fiero assai, ma onesto!. .. Credo che mi risponderete - S. Maria a Monte, li 20 decembre 1856 ». Evidentemente, con l'aggettivo fier.o il dottor Michele intendeva alludere alle tur– bolente vicende della propria vita di patriotta inviso al governo granducale. BibliotecaGino Bia·nco
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