Pègaso - anno III - n. 11 - novembre 1931

G. J. GELI.EH, Sarah Bernhardt . 637 ventura_ di conoscer l'arte della Bernhardt se non nella sua decr,epi– tezza, il giudizio par confermato da questo libro del Geller: libro, in– tendiamoci, d'intenti apologetici. •Difatto non crediamo che a nessun apologista dell'artista' nostra (e ricordiamo, in attesa d'un italiano che si decida a scriverne la vita, i mi– gliori biografi stranieri: lo Schneider, la Bordeaux, il citato Rheinhardt) verrebbe in mente di ,chiamar la Duse << une des figures les plus curieuses et les plus originales d'une époque revo1ue », come il Geller si oontenta cli definire l'immortale Sarah. Ma tant'è: suocedendo a opere delle più varie intonazioni, dalle autobiografie della stessa Bernhardt (Ma doiible vie, Mérnoires) ai libelli pettegoli e scandalistici della Colombier (Sarah Bernhardt en Amériqite, Mémoires de Sarah Barnum), anche il volume del Geller ridisegna la nota silhouette di .Sarah in atteggiamenti così e,steriori, in po,se d'una eccentricità così ostentata, che l'impressione è sempre quella. Siamo· dinanzi a un'immensa commediante; a una fem– mina la cui vita parve tutta tesa verso lo scopo supremo di sbalordir.e Parigi e il mondo. E lo spirito è., si capisce, un'altra, cosa. Intanto, ,seguendo i particolari della sua adolescenza e della sua prima giovinezza, è strano scoprire come la vocazione teatrale di Sarah parve piuttos,to dubbia, non solo da principio, ma anche durante una parte notevole della sua vita: tanto, spesso ella sembrò invogliata a fughe e a,cl evasioni fuor del teatro. Di razza semita almeno per parte di madre (Julie Bernard apparteneva a una famiglia d'israeliti tedeschi, sebbene più tardi la figlia tedescofoba tentasse di farla passare per olan– dese; quanto al padre, c'è sempre qualche interrogativo sul suo conto), fu educata e· battezzata, col nome di Rosine Bernarcl, in un èonvento: do,ve, tra l'una e l'altra, di quel1e bizze furiose che spaventavano le suore al punto di farla esorcizza.re con l'acqua santa, la giovinetta pensava di votarsi a Dio, e di farsi monaca. Ma poi bastava che andasse a villeg– giare in campagna, e le sue idee mutavano: s:i proponeva di diventare pastorella. A ogni modo tornata in famiglia, os,sia in quel safotto di sua madre che anche Rossini frequentò, la sua iscrizione al Conservatorio avvenne come per caso: non parve affatto la conseguenza d'un impulso prerpotente e irresLstibile. Ai saggi finali non ,ebbe che il secondo premio di «,commedia>> ; e quando una volta, in una· società elegante, le Yenne in ,capo di dichiarare baldamente che avrebbe voluto fare la « tragé– dienne », tutti si misero a ridere. L'immagine ormai classica della Rachel, morta da appena quattr'anni ma idolatrata nel ricordo dei parigini come l'augusto ideale deil' attrice tragica,, non avrebbe potuto compararsi senz' ironia a questa ragazzina, piccola, di volto irregolare, di voce de– bole, e magra come uno S<'heletro. (È vero che ciò non le aveva impedito esperienze d'amore abbastanza precoci: sembra che l'iniziatore fos,se stato un gentiluomo, il~conte di Kératry). Così quando, aggiunte un'h e una t al suo cognome ,per renderlo meno banale, la ventunenne Bernhardt si presentò la prima volta (1862) al pubblico della Gomédie-Fn11nçaise in una parte secondaria nell' I phi– génie en Aulide di Racine, nessuno s'aùcorse di lei; tranne il vigile Sarcey che, sempre attento ai diplomati del Conservatorio, notò: « Elle se tient bien et prononce avec une neUeté parfaite ». Ma due settimane

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