Pègaso - anno III - n. 11 - novembre 1931

L'esposizione coloniale di Parigi 625 voluto offrire un padiglione di· pretto sti.le moderno : un di quei negozi dai bei volumi un po' troppo polemicamente nudi perché possano con– vin,cere una piena emozione artistica. Entrando si conosce la vita deo-li Esquimesi. 0 _ _Gli .Sta~i Uni.ti han riprodotta la casa di Giorgio Washington, bianca e lmda, coi tetti rossi e le persiane verdi, e l'accarezzato gfardino. V'è anche la caimera in cui fu ospitato La, Fayette. E pensando a contrasto l' Ame,rka degli archi aerei e delle torri di ferro, questa casa, appare come la nosfalgiai idillica çli quel popolo. Così giungo alle sette torri di Rodi e, alla stupendai Basilica di Leptis Magna, padiglioni d'Italia, riprodotti con effica-cia fastosa. Odo i canti di Napoli in un caffè italiano: Oi Marì oi Mwrì e 'O sole mio. Sento qui. che l'Italia di Roma, dell'impero e del paipa.to ; paese dalle cui acque sorge, quotidiana Venere nasoente, la divina Venezia; pa.ese che da Firenze ha dato al mondo i geni più vasti, non par veramente riassunta . all'esterQ che in Naipoli e nel suo mare e nel fuoco del Vesuvio. Sul che ci savebbe da fare lungo discorso. Ora' me ne ya,do ad ammirare la. fauna tropicale in apparente li– bertà. Non ci son gabbie, e questi leoni possono esser benissimo quelli c.he stanno alle colonne d'Ercole, scrittovi sotto lo zoccolo Hic sunt foones. Grandi fosse abilmente mascherate ai nostri oochi ci proteg– gono dalla dimestichezza, delle belve. Se i leoni non si annoiano, devono essel'e filosofi romantici all'ultimo grado dell'idealismo, con quel minimo di cannibalismo che la loro concezione della dura vita comporta. Le bestie selvatiche non hanno nulla da fare e •son parassite : solo possono quando non hanno più fame, vivere. di sonno e di contemplazione. Noi pensiamo alla maestà del re deìla foresta e d'avremmo pensare al suo volto pigro, e alla sua costante ignavia. GU animali domestici che pos– sono lavorare, devono ringraziare, gli uomini: la loro civiltà è di fronte aHe belve come quella degli europei di fronte ai negri. Sono giunto così alla palude africana coi suoi duecento volatili acquatici dalle lunghe gambe. Acrobati su una sola. Penso i cigni e le oche,: il « cigno fedel >> e l'oca di Chichibio. Letterario ? -Sarà; ma questo ho pe·nsafo. Poi vedo i bufali selvaggi; gli struzzi che pare cia– scuno si cerchi la testa in cima, lassù, a quel serpente del collo; poi le giraffe di cui una è alta quasi quattro metri, le giraffe che non can– tano e non fanno il minimo verso, nemmeno il mugolio dei muti. Vedo le gazzelle, le antilopi, le zebre che pare si sian così colorite innanzi alle nostre chiese toscane, per mimetismo. Poi la vasta roccia delle scimmie, lo spettacolo più frequentato dell'esposizione animale. Fanno incredibili giochi, inventano mille trappole e mille imitazioni. Fanno anche l'amore in pubblico e non è difficile che qualche scimmiotto s'in– namori di una donna che guarda. Le loro anchettine senza, pelo che hanno il colore delle lepri scuoiate mettono toni rossi nel grigio del loro corpo e del loro rifugio. Ma son tra gli anima.li più sudici che si conosca, e poi l'ammirazione stessa di questa folla mi disg11sta, sicché me ne rndo a guardar gli elefanti che qui, ora, al bagno paion teatrali, dol– ci~simi e stupidissimi; quando spostando grandi rnai"se d'acqua nn- 40. - Pèg,iso.

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