Pègaso - anno III - n. 11 - novembre 1931
L'esposizione coloniale di Parigi 623 alte porte, più solenne quella centrale, immensa scalea che mi riporta, per semplice analogia nostalgica, alla grande scala della chiesa di Ara Coeli accanto al Campidoglio. Due altri immensi obici, innanzi, ai la,ti, fanno come l'eco di quelli posti al centro deU'opera. Questo tempio braminico, costruito nell'ottavo o nono secolo di Cri– sto, testimone di popoli scomparsi per la feroce distruzione compiuta dagli Annamiti, era abbandonato e coperto di liane. Quando alcuni missionari_ lo scoprirono, credettero fosse opera romana, perchè tutto che ,è grande al mondo egli è romano ancora.; ma poi il carattere indi– geno del tempfo fu conosciuto. La Francia si gloria, di averlo, strappato all'abbandono e si esalta di questa ciclopica ricostruzione a Vincennes. Io, se voglio esser sincero, mentre ammiro la potenza gigantesca ~ne c'è voluta per creare questo tempio e rendo giustizia allo sforzo gran– dioso che c'è voluto per riprodurlo qui con tanta pienezza: mentre in me stesso mi compiaccio d'aver visto opera tanto singolare e brava, ~o poi che l'occhio curioso si allegTa della vista, ma l'animo volto, alla gioia dell'arte non ri,esce a commuoversi. È torto mio, s'intende: e l'ho già detto a proposito del padiglione dei paesi bassi: torto di non essermi fatto un animo storico capace di accettare o ripudiare, nel cerchio del– l'espressione, questa forma: credo però che a sentire quest'arte, per ade– rire o respingere, bisognerebbe conoscer lingua e tradizione e gente e luogo che né io né altri conosce: l'ornamento minuto, così incorporato con le linee architettoniche da sembrar nativo nella pietra,, in una na– turale scultura sui toni del grigio, mi sazia e mi delude. Assa1 più m'è piaciuto il gran _tempio, di sera, nella dorata illumina– zione che da invisibile fonte si spande su tutta la massa, luce solare 1;hl' nello stacco del cielo e del buio notturno, invano fugato per brevi aloni dalla luce elettrica, distrugge le ombrette dei triti rilievi e fonde le linee in una massa più nuda e virile. Ma orma,i il viaggio mi conduce all'America,. E vedo la cupola c]Pl padiglione della Martinica, verde« comm' o mmare » e« comm' a 'll'uoc– chie 'e Catarina>>. Penso che il dialetto renderebbe meglio certe sensa– zioni coloniali. Avventuro una proposizione di effetto: il dialetto è lo sitato coloniale di ogni lingua. · E stavo per passar innanzi distratto, quando mi son ricordato d'aver le,tto che rnJ padiglione della ~fartinica, patria dell'imperatrice Giu– seppina, _èriprodotta la camera verginale della moglie di Napoleone. La stazione è obbligatoria. Cameretta sobria, ove tutti i tratti sono me– dioc1i e indefiniti ; v'è· una nicchia con una piccola madonna e la lam– pada; qualche lettera intricatissima di quella tenera e perfida figliuol:1 della foresta,, sul cui capo di ve.rginetta vennero qui a posarsi le farfalle annunziatrici di fastosi destini. E dirò che da questa, ,camera son corso con la mente a quella dimora fredda, e lucida in cui posa agli Invalidi l'imperatore. Mi fermo al bar della Guadalupa, accanto ad una torre-faro che si !'!pecchia nell'ac.qua. :Kel bar sono creole civettuole che servono i liquori, il caffè, la cioccolata, le squisitissime banane. Sono molto vestite, con vesti tutte foglie e fiori, ed è forse un peccato. perché hanno bel corpo: un fazzoletto a qua,dri, annodato a farfalla, cinge le loro chiome. BibliotecaGino Bianco
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