Pègaso - anno III - n. 11 - novembre 1931
L'esposizione coloniale di Parigi 619' E al ca:ffièdove offrono, come leggo e come non tento di a,ccertarmi, anche uno sciroppo di violette e cli rose, i tunisini danno il loro concerto. Suonano i violini come da noi vien sonato il violoncello, appoggiandolo cioè al suolo. Cantano come da noi i preti distratti e annoiati : e anche– gli strumenti sbadigliano. In r.ealtà questi autentici tunisini sembrano finti, come quegli altri che innanzi ai negozi, con tanto di fez in capo, son sempre pronti per una fotografia. Mi ricordo che altra volta, qui a Parigi, alla Moschea, i maomettani autentici, proprio perché fanno la, professione di maomettani, sembravano finti: e nell'aria c'era•, musicata dai loro strumenti, una indicibile noia. Ma che è- quell'infernale città le cui meschite, colore1 del fuoco e del sangue, ho intraviste un po' dappertutto ? Pare debba bruciare e divam– pare in un subito. Nel costruire questo padiglione dell'Africa occidentale francese, hanno imitato il colore del suolo e delle .case di quella zona: ·color ro-sso di forno e di ma,celleria. Qui sono rappresentati tre, milioni e mezzo di negri abitanti una zona, che è nove volte la Francia: otto co– lonie: Senegal, Guinea, Costa cl' Avorio, Dahomey, Mauritania, Sudan, · Volta Superiore, Nigeria: le cui parlate son talmente, diverse da colonia a colonia che gli indigeni per intendersi ormai si vaJ.gono del francese. Qui sono i villaggi della foresta e ·degli inestricabili prunai tropicali, e un villaggio lacustre che sembra un rozzo stabilimento balneare; poi una moschea, un palazzo. La torre più alta ha merli simili a piccole mete di grano e paJ.i infissi dappertutto come aiculei in un porta-5pilli gigante. Vedo nel villaggio dei feticisti le figure legnose, che un bello spirito direbbe nov,ecentesche, di tre grazie mascoline che reggono sul capo una coppa. Gli indigeni danzano e1combattono innanzi alla moschea e per que– sta via di villaggio dalle piccole finestre a sbarre di legno, dalle porte strette con grossi anelli e dipinte come per gioco : danzano i lor balli pesanti e grotteschi e tuttavia agilissimi, mentre i tam-tam rochi co'ine le voci negre macchiano cupamente l'aria pigra. Nelle botteghe si lavoran tessuti e tappeti. Passano negri con grandi tuniche e bianchi manti che coprono le lor mani: hanno i capelli ricci e spanti come in un'aureola nera. Ma sì": ho l'impressione che questi negri coi tumidi labbroni, coi _dent,i non bene dis,vezzati dall'ingorda ca,rne umana, ci stiano coprendo, noi civili europei che li guardiamo, di affettuosi vituperi. Intanto per il largo i ca;mmelli portano i fidanzati europei a, pas– seiggio : e le rag,1zze sollevate a tanta altezza, ridono nei più gra.ziosi spaventi. Mi metto a guarda,re le facce dei cammelli. Tutte le grinte degli animali, se il muso fosse riportato più indentro, quasi al piano degli occhi, sarebbero volti umani; ma questi cammelli han veramente, viso d'uomo, anzi di professore che essendo grandissimo somaro e buon paterfamilias voglia darsi solenne aria di cattedratico e perfin di cattivo. Di Togo e Camerun, regioni sotto il mandato della Francia, son qui riprodotte case di capi e case comuni : alti tetti _di stoppia, muri deco– rati un peri.stilio con pali che son poi colonne. Dentro son gli avori inci~i, i vasi di terra nera, i corni d'ebano, statuette di rame cesellato: armi, utensili, oggetti vari. E c',è da vedere nel padiglione della e.accia BibliotecaGino Bianco
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