Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931

i34 C. Tumiati Perché all'economo dell'istituto, - padre Salvatore, - fosse affidato anche l'incarico di confessore, non so. Certamente, le nostre colpe non lo commovevano affatto, né mostrava d'interessarsi ai nostri discorsi. Li ascoltava intercalandoli di anodini « eh, eh>>e dava penitenze lievissime. Ohi sa perché. Penso ora che quel suo leggere tutto il giorno le lettere dei nostri babbi laboriosi, preoccupate dei suoi grossi conti, l'obbligasse a giudicar bubbole i nostri peccati. Nella stanza di padre Alessandro spirava aria di mondo, ansia di gloria. Già dalle fessure della porta sortiva un buon odore di sigarette profane, ma nell'interno tutto diceva che studio lettere ed arti erano per lui vita e non mestiere. Bell'uomo, se predicava nella più elegante chiesa della città, l'alta figura e il nobile volto si staccavano dal velluto cremisi del pulpito e le belle se lo mangiavano con gli occhi. Fiero era, d'una fierezza tutta umana che amava vedere in noi pur essendo costretto a rimproverarla. Risolveva il dissidio con un« bravo>>accompagnato da un ceffone. Pa.rola e schiaffo ci scendevano in petto forti come un liquore. · Dalla sua attività letteraria traeva qualche guadagno che donava ai suoi famiglia-ri poveri ed infelici. Mai ne parlava, ma un giorno, a scuola, vi fu chi lesse un suo componimento pietoso nel quale era descritto il dolore d'una madre che guarda giocare i suoi due figli, dei quali l'uno bello e l'altro deforme. Ascoltò, fermo, dalla cat– tedra quel tema ch'egli aveva crudelmente voluto, vergò- in fretta un dieci sul foglio che gli veniva, teso, poi lo gettò all'allievo e si nascose il volto fra le mani. Spirito originale e troppo sicuro di sé per una chiesa, fu un giorno spogliato dell'abito e reietto per non so quali sue caparbie divergenze teologiche. Lo rividi in quegli anni; viveva in un'isola insieme a pochi orfani d'un terremoto dei quali condivideva povertà e destino; vestiva un corto abito talare di foggia strana e s'era fatto magro e curvo dal dolore e dalle privazioni. Si fermò per la via al mio richiamo e volle parermi· subito 'forte e sicuro come allora, ma chinò presto il capo e s'allontanò in fretta dopo avermi carezzata una spalla e guardato in un modo ch'io finsi di non comprendere. Ohe un insegnante di aritmetica possa odiare un allievo incapace, comprendo oggi benissimo, tuttavia credo anc6ra che il mio a-bbia toccato il vertice massimo dell'odio perché un giorno non m'inter– ruppe, non mi corresse, non mi offese : digrignò i denti. In silenzio. E io non seppi se ridere o scappare. L'idolo dell'istituto era il maestro di recitazione. Solo che risuo– nasse nell'atrio, per le scale, nei corridoi quella sua voce nasale e vibrante dall'aecento romagnolo, tutti se ne sentivano elettrizzati, BibliotecaGino Bianco

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