Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931
La notte del 12 marzo 1917 a Pietrogrado 427 Andiamo. - Non sùbito dai Radziwill, - dice Harold. - È presto ed ho appuntamento al C< Medviet )) con Costantino ~ichevaze. La slitta parte di scatto, le sigarette sfavillano. Bianco bianco: nell'aria spessa le macchie di sangue dei lumi. Ombre che eorrono lungo le case; la prospettiva Newsky punteg– giata di ombre immobili, agli a:ngoli poliziotti e soldati. Qualche grido lontano. La slitta sfiora quelle ombre con una bestemmia. Le chiese sono immense. Un formicolare sulla Moika. Perché facciamo questo giro vizioso ? Il cc Medviet )) è un albergo di second'ordine. Nell'atrio grossi mercanti, berretti di velluto nero e di visone, di lontra e di velluto verde. Le mani dolgono nell'aria affocata. Un parla.r lungo e sommesso, un tintinnio di bicchieri, il passo strascicato dei servi, un violino che lacera il fumo. Attraversiamo la prima grande sala, un corridoio. Harold apre una porta. Il salottino riservato •ha due divani di velluto rosso macchiati e gualciti, una specchiera veneziana, una palma polverosa .. Per terra mozziconi di sigarette e una rosa. Costantino Serguievitch, spezzato sulla tavola, col viso tra le braccia in croce sembra dormire. Poi solleva il viso a guardarci con occhi di velluto estatici: - Sono un uomo finito. Porta l'uniformé di guerra dei cosacchi di panno fratesco, le cartucce sul petto che sembran gioielli di Faberger, i fianchi di adolescente stretti da un cinturino sottile. Esce dalle larghe ma– niohe arrovesciate la camicia di seta bianca, sul polso gli trema un braccialetto di platino. Il viso ha lungo e sottile circondato da una barba tagliata corta a punta. Il naso camuso, la bocca grande, in tutta la persona il fuoco e la mollezza della sua terra del sud. - Ben venuti, amici. Porca vita. ~'da è finita. - Guarda fisso Harold. - Halloo Harold. - Poi si volta di scatto verso di me, mi getta nelle mani un portasigarette d'oro coperto di firme e di em - blemi, mi stringe il braccio sino a farmi male, mi soffia in viso : - Olga? Non vengo da Radziwill perché non ho il coraggio di rive– derla. Non era bella: lo è ora che le sfavillano gli occhi e le si tin– gon le guancie di sangue quando parla di rivoluzione. Mi fa morire. Ogni sera pranzi zigàni champagne amanti. Insaziabile. Io là seguo come un'ombra e non le parlo: sono il suo servo. ·Bevo. - Sai quanti amanti ha avuto ? Quanti ne ha· oggi ? li conosco tutti. Li ho voluti conoscere a uno a uno : a uno a uno ho voluto sentirli parlare di lei. So a che ora li vede, dove, con quali finzioni e con quali trasporti. E l'amo lo stesso. Le chiedo un sorriso e un colloquio. Me li nega ferocemente. Mi trascino ai suoi piedi, aspetto per ore sotto la sua casa, al gelo. Penso venti volte che potrei ucci- BibliotecaGino Bianco
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