Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931
404 T. Lodi pure dovranno tornare al pettine» 1 ). Nel capitolo degli Stati R?mani! la questione, senza essere a,ffrontata deliberatamente, affiora da se qua,s1 a, ogni pagina: e non occorre dire che anche qui l'autore riba,disce fermo e netto il principio della incompatibilità dei due reggimenti : questa è anzi, chi ben guardi, la moralità, o almeno una delle moralità delle tose narrate. Quella, stessa lode di equili,brio e di moderazione che il Capponi, come si è visto attribuiva aJle pagine sul Piemonte, mi sembra, convenga a quanto il T~mmaseo scrive qui di Pio IX. Giova, riferire ciò che egli dice in principio del capitolo per a,ffermare la sua imparzialità, nei ri– guardi del Pontefice: « E tra gli estimatori e tra i giudici severi di Pio nono io ho e benevoli ed avversa,rii; e lascia,ndo stare i benevoli, ognun vede che gli avversarii tjrando del pari dalle due parti o,ppo.ste, il mio proc edere egualmente distante da loro diventa, più che generosità, legge . fi.si~ a». Il giudizio s:ul Papa richiama in qualche m odo quel lo, che il Mas tai medesimo dava di sé definendosi « un povero cura.to 'di cam– pagna»: una volontà e una coscienza non tempra,te per i grandi cimenti, una mente ed un animo forzati oltre il limite delle possibilità loro : « Pio. nono che in gioventù amava, il flauto era un flauto egli stesso; vollero farne una tromba; e perché non suonava da tromba, ne f,ecero un regalo al Radetzky>>. La metafora è ardita e curiosa, e forse alquanto irrive– rente; eppure piace e persuade: certo- non s,i può far a meno di ammi– rarne la concisa efficaiCia.Ma le cause complesse e molteplici che vennero staccando gradatamente il principe dai sudditi e trasformarono l'entus-ia– smo e l'esalt azione di questi in diffidenza e poi in manifesta ostilità, sono viste e pen ,etra.te con acume singolare, con piena conoscenza dell'am– biente roma no e d ella corte pontificia (per quanto il Tommast:,\o·avesse fatto soltanto un breve soggiorno in Roma nel settembre del '47); l'indole dell'uomo, con le virtù e le debolezze sue, con gli atti di timida audacia o di resisten,za irresoluta, l'umanità di Pio insomma, è indagata con acuta analisi e delineata con sintesi felice. Gli errori e i torti del Principe e del Pontefice non gli f_anno disconoscere i meriti di lui; né dimenti– care i torti degli altri: « s'ei non seppe trarre dall'Italia, migliore pro- - fitto, forza è eonfessare che né l'Italia seppe trarne quanto poteva da lui». Se ne conclude chi:\ « non bisogna agli uomini chiede:re oltre à, quello ch'è fatto possibile dalla mente e dall'animo loro». Che è poi un ritornare all'immagine del flauto e della tromba_ Meno equo, anzi ingiusto addirittura ci pare il Tommaseo nel de– lineare la figura morale di Pellegrino Rossi. Quello che si è detto intorno alla temperanza del ·suo giudizio in quest'opera non vale per le più delle pagine sul Rossi. Qui ritroviamo tutto intero il solito Tommaseo, caustico e mordace, che tratta per taglio e per punta l'arme forbita e affilata e acuminata della penna. Eppur(;\, se non altro, l'atroce fine del Rossi avrebbe dovuto farlo più pio a.Jla vittima di quel pugnale omicida da lui condannato con così severa parola. La diversità dt:,\lleopinioni politiche non giustifica tanta asprezza, se pure in pa,rte la spiega. Egli indu– gia con palese compiacenza, su particola,ri insignificanti, su molte di 1 ) Carteggio cit., III, 203. BibliotecaGino Bianco
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