Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931

Pio IX e Pellegrino Ross 403 maseo verso il Piemonte, che le parolette appuntate fossero p oche, vera– mente pochissime, non può non far meraviglia; e merita.va d'essere ri– levato. Anche il ca,pitolo degli Stati Romani è un volume, tanto che si sud– divide in ben venticinque paragrafi. o capitoli minori. Ed è, di tutta l'opera, quello a cui il 'l.'ommaseo teneva particolarmente e che voleva custodito con più gelosa cura. Scriveva infatti al Vieusseux, annunzian– dogliene l'invio il 23 luglio del '52: « Avrete quandochessia un plico di cento e più pagine, che sono la metà di un capitolo, il quale capitolo è la qui.n~a parte d'un libro già fatto, il qna-1libro aveva a essere la guada parte d'un'opera che non si farà. Trattandosi in queste cento pagine delle cose romane avvenute ne' due miseri anni, io desidero che nessuna parola, dopo la morte mia, ci sia, aggiunta o mutata o levata, ché cia– scuna di queste alterazioni potrebbe falsare il sentimento della mia co– scienza. E però ne mando copia altrove, acciocché sia custodita. Non vi - prego di scorrere questi fogli, ché il tempo a, voi manca; molto meno ardisco pregarne Gino, che ha altro a pensar,e : ma egli, o voi, conser– vateli, e non li mostrate nemmeno a occhio amico. Di bocca in bocca può uscirne rumore, e falso, come segue di cosa non bene conosciuta, dove il frantendere è facile e piace a molti. Desidero da voi promessa di ciò, e la aspetto, e sottintendo da Gino, il quale per benevolenza, e anco per amore della verità, nella quale egli in parte consentisse meco, potrebbe lasciarsi andare a mostrar queste cose a gente che troppo dissentono da me, e ne farebbero uso sinistro>> 1 ). È evidente che i timori e le cautele del Tommaseo si riferivano meno alla parte storica che alla parte critica del suo scritto, e tendevano a salvaguardare da possibili false interpre– tazioni o travisamenti il suo pensiero sopra una questione particolar– mente delicata, in quanto toccava non solo la sua fede politica, ma altresi la sua coscienza di credente e di ca.ttolico. Convinto, zelante, tenace as– sertore della inconciliabilità del papato col regno, fino dal 1835, nel– l'opera Dell-'ltalia, iniziava con queste parole il capitolo sul Papa: « Chi queste pagine scrive, non arrossisce di professarsi cattolico: arrossi– rebbe se parte del cattolico dogma fosse il credere necessario ,ed utile all'onor della romana sede la corte romana». Trattò poi espressamente la questione, e con vivace ardore polemico, nel libro Rome et le monde <che è del '51, cioè contemporaneo a queste pagine inedite su Roma); dove le argom(mtazioni contro il principato civile dei Papi sono dedotte, oltre che dalla storia, dalla sapienza e dall'autorità dei Padri della Chiesa. Chiamò questo libro « il grido della mia coscienza» : grido a cui risposero i virul<enti a,ssa.lti della Civiltà Cattolica e la condanna della Congregazione dell'Indice. Ma non per questo la sua coscienza taceva. Egli anzi aveva in animo di scrivrre un'altra opera intitolata Delle due potestà, nella quale avrebbe trattato non della confusione dei due po– teri, ma dei limiti loro; e il Capponi, a, cui Rom e et le monde pareva forse il migliore dei lihri del Tommaseo, lo stimolava a metter mano a,l concepito lavoro: « Il libro sulle due potestà dovrebbe essere il pensiero della vita vostra: nessuno entra come voi nel fondo di quelle cose, che 1) Oarleggio cit., III, 15-!. ibliotecaGino Bianco

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