Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931

Tesori nasoosti . 897 si può lavorare, è meglio .non cercare la ricchezza. È la ricchezza che porta sventura». Ohe vuole, signor ingegnere ? Saranno idee antiche, ma noi le abbiamo. La gente può ridersene, ma a noi non importa nulla della gente : ci importa di vivere tranquilli. Mio figlio, però, non la pensava cosi. Mio figlio aveva studiato : era mae– stro di scuola : non gli bastava quel posto, e volle tentare la sorte. Ma appena iniziò l'opera, un male triste lo colse, lo fece morire, giovine anc6ra, nel pieno delle sue forze. Questa è storia vera. - Ebbene, e non è una ragione di più per disfarvi della mi– niera? - Ed io lo farei, si, ma, vede, ho paura. E con me le donne, seb– bene non lo dimostrino. È una cosa più forte di noi. Abbiamo paura che il denaro ci porti sfortuna. Mia nipote avrà fatto la brava, con lei, ma, creda a me, ha più paura di tutti. Queste cose le dico a lei, perché mi sembra un galantuomo: magari riderà anche lei; ma que– sta è la storia. L'ingegnere non rideva, no: col viso piegato sulla carta asciu– gante, pareva intento davvero a decifrarla. No, non era un mistero, quello che il vecchio gli raccontava : egli conosceva gente civilissima più superstiziosa di questa razza di past_ori; tutto stava a trovare il modo di sciogliere praticamente l'incantesimo. Le parole rlella signorina Gilsi gli tornarono in mente : anzi gli sembrò di vederle riprodotte dai geroglifici che gli stavano sotto gli occhi: dette cioè in un modo, per significarne un altro. - Il mio nonno s'è :fissato in mente l'idea di darmi la miniera per dote. - Cosi, - pensa l'ing-egnere, - se sventura ha da succedere, succede al signor futuro sposo: salute al resto. Sollevò d'un tratto la testa, guardò il Gilsi con gli occhi azzurri pieni di luce. - No, - disse, - non rido: capisco benissimo le loro idee; e in qualche modo le condivido. Avere il minimo per vivere, prodotto dal proprio lavoro, e potersi con questo creare una famiglia, vo– lersi bene, aiutarsi a vicenda, questa è 13,vera felicità. E il mio scopo è questo, - aggiunse, arrossendo di nuovo ; - e per questo sono arrivato fin quassù, più che in cerca di fortuna, in cerça di lavoro. Sono ingegnere; ho studiato chimica; conosco l'industria mineraria : qui ci sono difficoltà enormi da superare, ma appunto per questo l'impresa mi tenta : qui ·posso trascorrere una vita at– tiva, piena, tenace; posso proseguire, con miglior successo, l'opera del suo :figliuolo; dare Ia.voro e benessere alla popolazione, forse all'intera regioue. Non si vive solo per noi, nella vita; bisogna guardare più in là. Noi possiamo intenderci, signor Gilsi, perché anche lei è un galantuomo. Riguardo al resto, niente paura. Io non sono superstizioso. Non sono giovanissimo, - prosegui, sempre vol- BibliotecaGino Bianco

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