Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931

Tesori nascosti 387 perstizioso doveva essere stato il padrone della miniera, e che per questo, forse, non ne a-veva saputo trarre fortuna. Intanto si ·avanzava sullo spiazzo, invaso anc6ra di mucchi di scarico, con segni di passaggio umano: scatole di latta arruggi– nite, un manico di piccone, fogli di carta gialla unta: questi erano recenti, e si rotolavano al vento con impertinenza, come cose po– vere, ma vive, leggiere di libertà. Allora l'ingegnere pensò alla ve– dova e alla figlia del proprietario morto, e :fissando la porta della casa gli parve di vederle affacciarsi, nera e triste la prima, pallida di solitudine la fanciulla, con gli occhi scuri e luminosi come il colore del luogo. Ma la porta era chiusa; chiuse le finestre del piano di sopra; aperte, ma arcigne di inferriate, quelle del pian terreno, attra– verso le quali si vedevano due stanze grigie, con scrittoi e panche, simili a certi stambugi di uffici cittadini dove passa una folla di postulanti. Anima viva non appariva; qualcuno però ci doveva essere, al– meno un cane, poiché il suo abbafa,re fosco rintronava intorno, e l'eco ne moltiplicava il rimbombo: ma pareva, che quell'urlo uscisse dalle viscere del monte, da una di quelle bocche di scavo che si apri– vano ad arco, basse e nere come ingressi di tombe antiche. Il cane era là dentro, a custodia del tesoro nascosto ; e il suo lamento minaccioso destava un senso vago di paura. L'ingegnere non s'impressionavp, neppure di questo, ribellan– dosi a quell'insinuarsi di aria :fiabesca che spirava nel luogo. Gli ·affari sono gli affari. Smontò dunque, non senza una prudente len– tezza, legò il cavallo ad nna delle inferriate, e si scosse tutto come per rimettere a posto le sue membra piegate dal lungo cavalcare. Era qllello che si dice « un bel pezzo d'uomo», alto, col petto che pareva imbottito e le lunghe gambe dritte, fasciate come quelle dei cacciatori e dei guerrieri. Il suo primo pensiero fu per il ca - vallo: lo aveva fatto abbeverare prima di partire, e adesso gli legò al collo un sacchetto con la prebenda d'orzo: si assicurò che stava bene all'ombra, gli battè la mano sul fianco, poi, senza perderlo di vista, andò in c~rca del cane, quasi certo che altri non ci fosse. E appena fu dietro la casa, vide infatti legato davanti ad una saracinesca rossa che chiudeva una delle bocche di scavo, un grosso mastino, che al suo avvicinarsi si sollevò alto come un uomo, con gli occhi aècesi di rabbia. 'Ma un vecchio uscì subito da una por– ticina della casa, e ai suoi cenni e alle sue carezze la bestia si placò. Scabra e selvaggia era d'altronde anche la sua figura, e sullo sfondo infocato della i-aracinesca, egli e il cane formavano come un gruppo scolpito nella materia del minerale intorno : piccole macchie chiare solo il viso giallo dell'uomo e i denti del cane : e i loro occhi, rossastri e diffidenti, tuttavia illuminati per la presenza ibliotecaGino Bianco

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