Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931
508 E. SC!AGLIONE, Il passo del diavo.lo e chiusa in una visione del mondo oscura e sconsolata. Se qua e là, in qualche pagina, ·rarissima, sorride, il suo sorriso è amaro e. beffardo. Il temperamento del romanziNe si è venuto maturando: non si accontenta di cogliere le contradizioni superficiali, i dissidii esteriori, vu?,l penetrare nel profondo delle anime. Quando si ferma sui casi e ,sulle vicende della mondanità, ne vuol trarre pretesto a meglio denudare la deformità mo– rale di qu~lla strana ·società, con apparenze vistose di eleganza, dell'im– mediato dopoguerra, <ii quell'equivoco mondo avvolto nei torpidi sogni della cocaina. La prima parte di Maria Letizia si svolge sullo sfondo del pae,saggio di Agerola, in cima alla più alta montagna della penisola sorrentina ma il fatuo chiacchierio del piccolo mondo dei villeggianti estivi è i~terrotto dai capitoli della romanzesca storia del generale Avitabile, mosso dalle impervie creste dei-suoi monti na,tivi della costiera amalfitana, a cercar fortuna in terre lontane. Il gusto del narratore, compresso nello stendere la pettegola cronaca mondana di frivoli per– sonaggi, si trova a miglior agio nel raccontare le spavalde e fortunose imprese del venturiero che, a:ffrop.tati rischi ed insidie innumerevoli, tornato ai suoi monti, fini per il veleno di una tenera fanciulla sedicenne, nelle cui braccia aveva sperato <ii trovar tregua alle ansie della vita agitata . .Sulle montagne della costa amalfitana ,Scaglione ha risospinto la sua viva fantasia di romanziere, dopo averla fatta errare per i salotti partenopei_ del dopoguerra, infestati dalla volgarità dei pescicani o dal pervertimento degli stupefacenti, ed aver espres·so, in pagine colorite e frementi, il cruccio e lo sdegno, quali poteva sentirli un reduce daJla guerra. Su quelle cime erette, battute dai venti e dagli uragani, egli ha pensato di poter trovare intera la sua libertà di narratore, nella rap– presentazione di passioni primitive e selvagge e violente. Così è nato il nuovo romanzo, Il passo del diavolo. Se lo scrittore dalla cupa ed orrida bellezza del paesaggio ha saputo trarre dovizia di descrizioni, ne è stato anche, un po' troppo evidente– mente, insidiato. Le s:ue doti di osservatore cruccioso, di coloritore opu– lento,. sono state spesso spinte ad abbandonarsi, quasi senza alcuna reazione, alla pericolosa attrattiva di una sgargiante esuberanza di tinte, di un fragore verbale che sa talvolta di jazzband, di un'eloquenza troppo faconda. Quando Scaglione riesce a reagire a simili allettamenti se non vincendone l'insidia, almeno infrenandola, allora sì i perso~aggi si muovono e soffrono,. in atto di vita, e gli eventi non turbinano, ma si svolgono, come nella nostra trita esistenza. Perciò in questo romanzo le pagine migliori sono appunto quelle in cui il romanziere senza « squar– ciagolare », - come .Scaglione amerebbe dir~, ~ parla con voce pacata e sommessa, con animo ,sereno e confidente, sì da illuminare il racconto di una chiara leggiadria non sovraccarica ma nemmeno priva di or- namenti. . . Certo in 9u~sto nuovo romanzo _Emilio ,Scaglione ci ha dato il meglfo di ,sé, nel miglior modo che a lm fosse consentito. Quanti narratori sarebbero catpaci di raggiungere .la netta e cruda evidenza della scena i1:1cui D0n3ttella, la ·!resca; e graziosa fanciulla intorno alla quale le vicende de] romanzo si aggirano, fidanzata a Mauro Caccia « mezzo pe- BibliotecaGino Bianco
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