Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931

G. TITTA ROSA, Il .varco nel muro 503 una capacità, limitata per ora a un'immagine, chiusa in poche parole: in funzione, si direbbe, strettamente lirica. Senon~_hé,continuando subito dopo nella stessa pagina,_· si legge: « Un odorista anche senza essere celebre e raffinato come il conte Mala– .gotti, li distinguerebbe (gli odori) e separerebbe abbastanza agevol– mente». Q~i la prontezza del riferimento culturale, l'acutezza e abilità con le quah, nelle righe sEguenti, è fatta la cèrnita e la descrizione ùei diversi-profumi che emanano dalla terra, scoprono, accanto alle qualità dello Sj;rittore, la mano e la mente del critico . .Su questa strada si po– trebbero trovare citazioni in abbondanza; e sopratutto si potrebbe far vl:lclerecome spesso la parola, nel nostro autore, prenda un senso cli ade– renza si, ma _dicarattere sopratutto intellettivo, un sapore e maga;ri una crudezza netta e precisa, ma che viene in qualche modo dai libri. Ecco, per esempio, in- Il aardo: « rigava il silenzio della stanza e l'inerte stu– pore della sua coscienza quel ronzio continuo e monotono» (delle mo– sche). In Polvere la. descrizione di una bottiglia di vino rosso sulla to– vaglia ha la nettezza, di contorni che potrebbe avere una« natura morta», e insieme la compiacenza del volume, e della corposità di un_pittore cu– bista. E si veda anche questa frase: « si sorprese ad ascoltarsi il sangue, che pareva risvegliarsi in un fervore ritmato e generoso ». Ma non è, questa strada, pericolosa ? Dico pericolosa, in questo mo– mento, non per lo scrittore da esaminare, ma per chi si trova ad esa– minarlo ? A me sembra che non sia facile dire quanto può, in questi casi, la suggestione cli «sapere», per cause esterne, che l'auto,re è anche critico, e quanto invece risulta dall'esame obbiettivo della sua ·scrittura. Una citazione culturale, una frase come questa,: « un crocifisso nero, dio sossato, che egli, leggendo Pascal, aveva una volta, definito un Cristo giansenista», in uno scrittore, lontano dalla critica, non sarebbe passata liscia ? E invece questi poveri scrittori, che fanno anche i critici, sono espos,ti, come i merli sulla frasca, a tutte le schioppettate. Lasciamo questa strada; e prendiamone un'altra, che a prima vista potrà sembr&e un po' esterna. Considerando l'argomento delle novelle cli Titta Rosa, salta anche agli occhi cli un cieco il fatto che l'autore stesso le ha divise in due categorie: quelle di campagna e quelle di città, sebbene la. distinzione non sia poi netta e in quelle di città rientri quasi sempre, portato dalla nostalgia, il ricordo della campagna. Ora, pren– dendo in esame il primo gruppo, credo si possa concludere pacificamente (e chi sa quanti lo avranno già eletto) che in queste novelle di paese ci sono figure ben piantate e c'è una, costruzione senza dubbio solida, ma che esse non portano, sia nello stile che nell'invenzione, gran che di ni10vo. Non manca già il segno energico, la capacità cli disegnare una figura campagnola, sanguigna e violenta: manca il segno dell'originalità. E non vorrei dire un'eresia, perché so che molti credono ancora alla no– vella regionale, e ci cTecloin fondo anch'io; soltanto dico che la tradizione di Verga è una gran cosa, ma che se non vi immettiamo uno spirito nuovo e non ci abituiamo a vedere la provincia con occhi nuovi (quale essa oggi è), rimarremo sempre al secco. In ogni modo, dopo aver letto una settantina cli pagine del libro ùi Titta Rosa, a nessuno verrebbe in niente rli dubitare che la sua strada non

RkJQdWJsaXNoZXIy