Pègaso - anno III - n. 10 - ottobre 1931
Fora·in 491 bellezza tragica del suo pensiero ma vivendo umilmente in funzione di quella bellezza. Il vecchio giornalista qui è veramente poeta perché solo i poeti sanno rendere all~ parole tutto il loro valore antico. Il giudice severo interrompe: - Esagerazioni. Forain non ·sapeva di dir tanto. È probabile. Ma questo è à.ppunto il carattere singolare della menta- . lità artistica. In ogni artista c'è sempre nascosto un uomo più intelli– gente dell'artista stesso; anzi,, c'è nascosto spesso un uomo troppo in– telligente. Forain crede d'essere un conserva.tore ma il genio della bou– tade gli fa spesso sacrificare tutto e il conservatore doventa distruttore e an.a.rchico. · A •Chigli domandava, come procedesse nel suo lavoro, Forain rispose: « j'écoute mon dessin », che vuol dire: il disegno che ho fatto mi sugge– ris,ce la battuta. Anche in questa confessione il gusto della boutade gli fa dire molto più di quel che non vorrebbe. Forain che compone la leg– genda o battuta da porre. sotto aJ disegno non ascolta il disegno bensì l'uomo troppo intelligente che è nascosto in lui. D'altroncle è evidente che.nei disegni di Forain non c'è il cauto amore di una onesta indagine. È chiaro invece che prima di disegnare l'artista ha già capito; ha già scoperto una verità irritante e i segni che la sua mano traccerà non sa– ranno altro che una sorta di grafico di codesta irritazione. La leggenda aumenterà poi la forza polemica illuminando d'un breve lampo l'arma, e il bersaglio. Ma quei quattro rapidi segni hanno spesso, loro soltanto, una rara efficacia. Sono pieni di un malumore quasi funebre. Si direbbe che da loro emani in modo elementare semplicistico quasi bruto quel senso di lutto delle bordure nere nelle partecipazioni di morte (non conosco nessun disegnatore che abbia reso come Forain il colore e la materia delle vesti nelle persone abbrunate). Da quei pochi segni neri, d'un nero sporco sul bianco sporco del giornale, parte sempre una minaccia: la minaccia d'un'anima triste e battagliera. E parlo beninteso di quelli tracciati dalla mano dell'artista già cinquantenne.' Pellché i disegni della prima maniera sono anc6ra impersonali e mediocri. Se non fosse la battuta quasi sempre lapidaria ed efficacis– sima, ,si rimarrebbe colla sensazione d'a,ver veduto un timido imitato11e di Degas o un Toulouse-Lautrec imborgl:iesito. F orain disegnatore, è maturato lentamente, e alla maturazione, a.no stile sicuro e personale è giunto per quelle necessità di cui ho p arlato in principio: le necessità e le esigenze del foglio quotidiano; un gran fogliaccio sporco e maleodorante che molta gente spiega e scorre nei brevi momenti di riposo, alla trattoria, nei metros, nei tranvai; un foglio che appena visto e letto doventa l'!ubito un vecchio giornale, un pezzaccio di carta. Ma da quel foglio cosi caduco Forain ha lanciato i suoi gridi, - la frase è sua: « fai jeté mon cri», - e molti uomini lo hanno udito. Milioni di uo mini. E hanno impara.to da Forain a, odiare e a amare. Soprattutto a odia.re, ma a odiare, - ecco quello che importa, - con più chiara coscienza e più cora.ggio. ENRICO SACCHE'lTI. 1bliotecaGino Bianco
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