Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931
\ Villa Beatrice 323 ma qnalchecom cercava guardandola a ·quella maniera. Quella donna cosi fredda, impassibile, com'era che un ragazzo avesse potuto 8entire per una donna cosi.. .. Perché Romualdo n'era certo. E la riguardava in se stesso : e allora l'immagine aveva una forza di pert,nrbamento : ma le veniva da,l riflesso d'una adolescenza presa di lei tino a volerne morire. Finiva triste, alla villa, la giornata della vendemmia. Verso le cinque, ·Maurilla era voluta andar via in tutti i modi perché: « Se no, i ragazzi mi s'ammalano; ora non pare per– ché s-on eccitati; ma io li conosco, non ne possono più: Cecchino, ' sbaglierò, ma·à digià anche un po' di febbre)). E quando Maurilla cominciava a aver di codeste paure, nulla più la tratteneva, non pensava più à altro: il suo cervello, tutta lei stessa era concentrata lì, incapace d'altro. Andò via come se avesse il foco alle calcagna, · salutando in furia, coi ragazzi, e precedendo il marito che la segui per conto suo : << Sapete com'è: abbiate pazienza)). La cena era stata malinconica. Serviva la Teresina. Tema insi– stentemente proposto dalla signora Isabella e ogni volta da Ro– mualdo evitato o troncate, quello cl1e era successo a- Pierino. E, finita la cena: « Se volete trattenervi non fate complimenti; sfi no, appena tornato il dottore e che ci abbia messi tranquilli !ml conto di Pierino, la macchina è a vostra disposizione)). Di lì a poco il dottore era tornato. E aveva trovato, non i-i poteva neppure dir febbre, appena un po' di temperatura: polmoni e bronchi si comportavano bene. E i suoceri eran partiti. Beatric~, da dopo desinare, aveva dovuto tutt' il santo tempo subire quella che per lei era la tortura da parte di sua madre : come fosse necessario eh' ella si facesse veder da un ostetrico perché- quei deliquii non erano cosa normale; che, altrimenti, ci avrebbe pensato, lei, sua madre, a farne presente la necessità a Romualdo .... - Per carità, mamma, lasciami vivere a modo mio. - Ma è qnei;,tione della creatura ! - E che m'importa della creatura ? La signora Isabella s'era tappate le orecchie per non sentire, raccapricciando. E ora Beatrice risentiva del colloquio allo stesso modo con cui ci si risente, poi, delle percosse. S'era ritirata in camera e s'era buttata sul letto senza la forza, senza la voglia nemmeno di spogliarsi. E Romualdo, alla finestra della sua ca.mera di scapolo, appog– giato al davanzale, guardava nella quieta notte d'autunno. Dalle case dei contadini illuminate, salivano le musiche dei balli e i canti e le risa dei giochi. In tutte le case coloniche, nelle BibliotecaGino Bianco
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