Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931

Livio e la storia della storiografia romana 289 assuefatti a libertà, fossero insofferenti del giogo straniero e per ri– cuperare la libertà perdnta andassero coraggiosamente incontro ai sacrifizii più gravi, affrontando con eroica baldanza il più potente impero che mai fosse stato, ma per l'ambizioso capriccio d'un oscuro tirannello fazioso, AI·istagora di lV[ileto 1 ).. E nulla è nell'opera di Erodoto dell'impeto vittorioso con cui i Greci resistettero al Per– siano, nulla vi si respira di quel generoso entusiasmo e di quel– l'audacia pratica e teoretica che accompagnò la vittoria memorabile e ne fu causa non meno che effetto. I Romani invece, che scrissero ta storia della loro patria sotto l'impressione della II gu'erra punica, Fabio Pittore e Cincio Ali– mento, avevano pieno l'animo di quell'ardore vittorioso da cui erano stati infiammati i loro concittadini, e alla guerra avevano parteci– pato essi stessi, se non col braccio, col consiglio. Tale nelle origini, tale in tutto il suo sviluppo la storiografia romana. E poiché l'idea romana le 'dava la materia e le dava nello stesso tempo gli spiriti, era anche naturale che, nella quasi totalità, gli storici anteriori a Livio, non si limitassero ad un breve periodo, il quale non poteva per essi, chP erano storici essenzialmente di Roma, e sentivano, come pure vedemmo, la mirabile continuità della tradizione romana, avere particolare ed esclusivo interesse, ma tutta abbracciassero la storia della città e del popolo romano, fin dane origini, lumeggian– dola sempre alla luce di quel particolare periodo del quale essi stessi scrivevano e nel quale, per mezzo anche di ciò che scrivevano, vole– vano contribuire a foggiare a loro modo la storia che mano mano si faceva. Così avviene che, per la più gran parte, gli storici romani da Fabio Pittore a Tito Livio, e non furono pochi, narrassero tutta la storia di Roma dalle origini ai tempi loro. C'era una doppia ragione per rifarsi daccapo continuamente, come essi di regola fecero; una ragione formale e una ragione sostanziale. La ragione formale era che la tecnica dello scrivere in tutto questo tempo, sotto l'influsso degli esemplari greci, progrediva continuamente. S'imparava a poco a poco la difficile arte del periodare, in cui i Latini finirono col diven– tare maestri; l'~spressione si affinava e precisava e si adattava così all'affinarsi e prog-redire del pensiero; onde ogni generazione nuova trovava insufficienti gli scrittoi-i ch'erano piaciuti alla generazione precedente e voleva una narra.zione della storja di Roma che soddi– sfacesse le esigenze progredite. Ma c'era d'altra parte una ragione sostanziale: lo sviluppo della potenza e quello della costituzione romaJJ.a in tutto questo periodo, non ebbero sosta né conclusione. 1) Su ciò, mi sia permesso rinviare alle mie osservazioni in Rivista di Filologia, IX (1931), p. 40 segg. 19. - Pèqaso. bliotecaG1noBianco

RkJQdWJsaXNoZXIy