Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931
Li-vio e la. storia della storiografia romana 283 facile. In fondo, poiché i Romani hanno vinto i Sanniti, che cOsa importa se la battaglia è àccaduta un poco più qua o un poco più là, se i nemici caduti sono stati mille o cinquemila, se le legioni impegnate sono state due o quattro"? Da ciò ùeriva, che gli storici romani, i quali pure appartenevano al popolo antico che ha fatto più guerre e riportato più vittorie, ci abbiano quasi tutti trasmesso descrizioni di battaglie che nulla lasciano a desiderare quanto a vivacità di colorito, ma che sono deficientissime nel rispetto della tecnica militare, tanto che è estremamente difficile farsi un'idea del campo di battaglia ò dei movimenti degli eserciti che combattono. Eccezioni certamente vi sono : quella, per esempio, delle battaglie descritte d!l, Cesare, ma lì si trattava di un g·enerale genialissimo che rendeva conto ai propri concittaqini delle sue imprese militari, e forse lo stesso sarà stato il caso delle memorie di Silla e di Lutazio Catulo, che disgraziatamente sono andate perdute. Ma quando ci rivolgiamo agli sto;rici di professione, come Livio o Sallustio o Ta– cito, le deficienze sono così gravi che per ogni battaglia i moderni studiosi hanno in genere ricorso alle ipotesi più contradittorie, quando hanno voluto scientificamente determinarne il sito e l'an– damento. Anche qui non manca qualche eccezione; ma le eccezioni sono dovute di regola non agli storici romani, sì alle loro fonti gre– che. Così c'è in Livio, non di frequente, qualche buona descrizione di battaglia, ma .è desunta d_aPolibio e non manca qua e là qualche errore un po' grave di versione, che dipende non da ignoranza del , · greco, che Livio senza dubbio conosceva benissimo, ma dal poco interesse pei particolari e dalla scarsa comprensione per le manovre militari riferite dalla fonte. Così un errore concernente la battaglia di Cinoscefale, che è tra i critici famigerato. Filippo ordina ai Ma– cedoni della falange secondo Polibio (XVIII, 24, 9) 'Xa-r:a/30J..ovot i-dç oaetoaç l:rrayew, cioè di caricare il nemico con le sarisse (le lu·ngbe lance), abbassate; Livio (XXXIII, 8, 13 traduce : « bastis positis .... gladio rem gerere iubet >>, cioè ordina di deporre le lance (non si capisce bene dove, non pare che i Macedoni avrebbero potuto se non gettarle per terra) e, rinunziando a quella ch'era l'arme caratteri– stica della falange macedonica per l'attacco e la difesa, di combat– tere con la spada, che forse neppure aveyano. Errore il quale sarebbe perdonabile, come le piccole sviste in cui a tutti avviene incappare, se non fosse che esso dimostra come Livio non si ,èfatta nessuna idea del cozzo tra la falange greca e la legione romana. Questa incuranza del particolare ba nella storiografia romana effetti anche maggiori. Livio è certo uno degli storici più onesti che mai siano stati : « fidei praeclarus in primis >> lo dice Tacito; e il poco interesse pei particolari non lo ha fatto peccare che di qual– che piccola negligenza o di qualche innocentissimo :fl.osculoesorna– tivo. Ma non tutti erano onesti come Livio. Se il particolare non riotecaGino Bianco
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