Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931

O. ZfVATTINI, Parliamo tanto di, me 375 che esprime bene la speranza d~l cuore, ~ insieme una certa atavica diflì- ' de~~- ~oi~hé sull'u?Borismo italiano, ossia sulla caipaoità degli scrit– ton 1tah.am a fa.re , m senso moderno, dell'umorismo, pesa un sospetto che neppure Panzini ne~ suoi cenci, neppure Baldini neppure Bontem– pelli, neppure Pitigrilli, neppure Campanile, n_epp~e Chiesa, neppure Palazzeschi, neppure Folgore, neppure Giovannetti, neppure Balsamo, neppure Ramperti, neppure i due Bucci, neppure i due Gadda sono riu– sciti finora a dissipare. Nessun dubbio che i nomi1rnti scrittori (e g1i altri lasciati di proposito nella pen,nà,) ci abbiano dato belle pagine dli umorismo; ma il titolo proprio di umorista, l'investitura non si saprebbe su chi posarla. A chi manca una dote, a chi ne mancano due .... Probabilmente si tratta soltanto di un'illusione, di un miraggio; e presso i moderni la parola umorismo ha finito per con.oontrare in sé tali e tante qualità, e si gran' numero di ricol."ldifrancesi tedeschi inglesi e americani, insomma, una così squisita quintessenza di doti diverse e anche oppO'ste, che in pratica non s,i trova più chi le meriti. L'umO'rismo è oggi una cosi composita sciccheria che, al solo nominarlo, rende i giudici astuti e incontentabi1i; e il tragual'do nessun concorrente lo tocca. Detto ciò, esisterebbe dunque un moderno umorismo italiano? Poi– ché quei sunnominati scrittori nacquero, e sono vivi, in Italia, io vorrei dire di sì. E se \'umorista assoluto tra noi anc6ra manca (seppure l'umorista 3JS~olutonon è un mito, una fenice) contentiamoci intanto dei relativi. Cesare Zavattini con questo suo primo libretto, Parliarno tanto di me, entra nel bel numero e, mi prure, va subito ai p,rimi posti, Molte qualità del buon umo,rista sono sue di già: l'occhio nuo':o ,sulle cose come se gli nascessero sotto il naso, la percezione pronta e lontana dei con– trasti per cui l'umor,e nasce, il segno sicuro e pacifico dello stile. Ma soprattutto Zavattini ha del buon umorista (e non sembri un parados•so) la tristezza fonda. Ohi appetisce l'umorismo « tutto da ridere» (ma è un cibo vile) si rivoJ,ga a un' altro; Zavattini non giuoca mai, o quasi mai, in superficie e soltanto con le parole; egli ànzi risolve in umorismo i pen– sieri che lo crucciano, i ,sentimenti che gli dolgono, le j_mmagini e gli aspetti della vita che lo turbano. · , Ma diamo un'occhiata aJ. libro. Come avviene spesso agli umoristi, la trama, la tela del suo racconto è poco più d'un pretesto. Guidato da uno spirito familiare, Zavattini compie un'escursione nell'aldilà; attra– versa a volo l'inferno ,il purga.torio e il paradiso, prende nota delle per– sone che incontra è fedelissimo nel riportare i disco11siche sente. I dan– nati e i beati di Zavattini sono qua,si sempre occupati a raccontarsi le storie e le .stori~lle della loro vita; e il nostro umorista a prenderne nota. E in questo trascor11ere dall'uno all'altro, in questo facile raccontare c'~ una leggerezza, un'a,ria di g~uoco, u~ _od?~ino di_ fumo, alla Perelà. 81 direbbe che gli spiriti con cm Zavattn1;1 SJ. mtr:tttiene, passan_do_-daq1;1e· sto all'altro mondo ,siano tutti torna.ti ragazzi, con gli stessi g1uoch1 e candori e rossori· in più ci mettono un pizzico di fumisteria. Il tono l'esta a mezz'aria.'Raramente l'umorismo di Zavattini (e se mai non sono , quelli i suoi passi migliori) ricorr-e all'afori.sma o all'epigramma o allo

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