Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931

374 G. UNGARETTI, L'allegria Si bao-na, un giorno nell'I,sonzo, e l'Isonzo non è sol_o l'Isonzo, ma il Serchio, dove na.cque, e la Senna, nel cui torbido Sii rimescol? e ~onobbe: Vede la continuità della, sua. vita, e gli sd'ugge la certe_zza e il piacere d1 toccare quell'onda., col suo nome, il suo peso~_ la ,sua storia. Un mome~to l'faonzo gli pare 11n'urna.; e non sai se-sia. termine p~ù famigliare e amico o più squallidamente indefinit()I e straniero. Se 'pensa ana mòrte, .non vede una fossa nel suo duro limite, dove alla fine riposwre; ma il mare, e quella è la sua' bara. La sua, pena non ha un volto, è la pena di tutti; ed egli è un nulla,, nella« fionda del tempo JJ, come una pietra, senza umano pianto, o come una foglia, toccata ·dall'autunno. Anche il bene, piano gli na:sce, e gli muoue ill3ivvertitamente, perché non si ricordi neppure d'averlo posseduto, d'averlo goduto. Apparire e ,sparire. Ma il bene vero è quando ,si_ sente« in armonia, JJ, creatura, senza nulla di suo da, coiJ1tare, des·tinata. anche nel piacere a non avere una faccia. Se poi grida e si di– spera, è per non sapere; e non è tanto l'orgoglfo dell'uomo offeso, quanto, un debole dolore, uno smarrimento di cuore. « Il mio povero cuore sbi– gottito di non sapere J) dice; per allontanare egli stesso l'idea d'una mente che vèda e senta. La ,Sostanza. del suo tormento è un« delira111tefermento JJ, da cuL na– sce, « limpida meraviglia JJ, il fior~ dell'l},rte. E ,stupisce che sia così limpida.. Ma limpida è per quel suo arrivare all'atto dell'espressione, ca– stigato, e come da una estenuazione, quando il cuoil'e ha stancato gli stessi ,suoi cruooi e sveg·lia.,segrete voci. Ed ecco come, invece d'un mul– tiplo 'di ,sensazioni, se ne ha la somma,, mettiamo in una immagine, o . nella, sua ragione dedotta in puro suono. Di tali immagini è pieno il libro di Ungaretti. .Si apre con notazioni in a.pparenza, occa.sionali (~ «;>ccasiionalin realtà ve n'erano nella prima edi– zione, senza. va.lore né pei;:sona,lené sentimentale, e quelle sole qui non riappa.iono), e con delle impresSl.ioni che parrebbero del puro seicento, se non ci fosse dentro una vita che meno si raccoman,da al colore e allo strano, e più conta su una forza. tutta interna di suggestione; e poi a grado a grado arriva _auna trascrizione più esattamente wggiunta., dove il mot'i.vocala in profondo, e la vita del poeta riemerge stupita. Direi che Ungaretti non già vede ma crede per immagini, donde quell'aderire che noi facciamo, con l'animo, alle sue tigure, e crederle nostre. Ne J?O-tremmo ricordrur cento, dove le parole feriscono ancora, e dove pail'lano dissÌilnu– latamente. Come semp:rie, il segno più alto è toccato quando parlano senza parere. Egli allora par che ci prenda piamo per mano, e ci conduca ai luoghi che lui sa, e ci dica qualcosa che ci mette dentro la, sua stessa pena. Sulle •sueparole, con lui, riipoSl.iamo come ,su una certezza, vi ci affi– diamo. ·GIUSEPPE DE RoBE-RTIS. CESARE ZAVATTINI, Parliwmo tanto di me. - Bompiani, Milano, 1931. L. 5. Spesso no, ma ogni ta.nto $ sente dire che n~la famiglia piuttosto musona della nostra cara letteratura è nato un nuovo umorista. De– vono esserci molti che, all' annuncio, sospirano « mag·ail'i ! >J. Parola BibliotecaGino Bianco

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