Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931

G. UNGARETTI, L'.allegria 373 ii tocco lieve e quei chiari timbri che aòbiamo imparato a cono~cere come suoi soltanto·. Resta inteso però che nel correggere, inquietissimo e, come dire, cruccioso, non l'ha guidato un ozioso gusto letterario, che è la scaltrezza degli scrittmi a freddo, ma quasi solo l'orecchio, e un modo tutto suo di ascoltarsi. Un esempio non mi s'è voluto levar dalla mente, guardando questo difficilissimo lavoro,~ quello del Leopardi, e di come lui sapeva ri– ùurre l'espressione al minimo possibile, proprio a impedire che essa s'av– vertisse come espressione. Tante volte da mia strofa intera ha potuto, con crudele distacco, ricavare un verso, e da un verso una parola, e da una parola la sua essenza, che riempisse una pausa. Proprio ha sa,– puto, com'egli stesso dice, dal fondo dell'anima, ,scoprire quel « nulla d'inesauribile segreto Jl_; che è della poesia come attitudine pura., e porta un fiore estremamente delicato, soavissimo se non l'affatichi peso di pa– role. Della poesia, dico, nella sua essenziale potenza,, senza qua,si leggia– dria, ma solo con una sua vita accennata, e « piano, fra nta>>. Di sillaba iru sillaba, di vooso in verso, di strofa in· strofa, ques.ta è l'impressione che sopra tutte le altre resiste, di qualcosa di sorgivo e J1e, quietamente si di– sperda. Io non sapuei dir meglio che paragonandoille l'effetto, e il po•tere magico, a quello degli odori; e, come degli odori, il più resta nel ricordo, e continua a parlare indefinitamente poi, nell'animo. Le poesie di Ungaretti « lavorano » dentro di noi. In appai~enza po– vere, sii arriochiscono a ripensarle, e ,ci arriochiscono. Da immagini e sensazioni lontanissime nascono persu'asione e certezza, piano1 senza parere. Non è poeta Ungaretti che obblighi a credergli; siamo no•i che spontaneamente gli crediamo. Egli crea in noi quella ,stessa umiltà di fede con la quale pare assumere le parole a un fine s.imbolk,o. E dice e non dioe, ma con tanta più forza degli scrittori seimpre energici e a,lla fine inascoltati. · - Un uomo si speochia in un'a&qna corrente, in un'acqua chia;ra, come in uno specchio di certezza, e l'ombra., sua un momento pare come cullata, quasi fosse vivente, poi si frange, inavvertitaimente, a far sper– dere forse anche il ricordo di quell'ombra prima intera. E nel tempo stesso-, in un furioso giorno di battaglia, l'umanità più ha g ravato col suo peso e il suo odio, ignara della sua fralezza. - Vanità ha intitola.to Ungaretti questa poesia,. E può darsi che noi abbiamo troppo insistito s u rapporti e significati che, se veri, son dati nella forma più vaga ·e sfug– gente, e c,ome in Ùn trasognamento. Riesce difficile, no!Il,già_estrarne un senso, ma formularlo a parole, e la leggera scrittura perde del suo in– canto. Anche perché a quella legge1,ezza rispondono una vita e un mondo che temono qua,si di darsi. I più fuoosti crucci, in Ung"aretti, si smorzano in accordi. A un altro ,sarebbe offerta 1m~teria per un sovrabbondante sfogo o per una retorica affettuosa; qui è un respira,i· lieve, un mormora,r di echi che si destano, e restano sospesi e si perdono. Pure ce ne ricor- · diamo come d'una verità acquistata•. Anche il ritratto che fa di sé, per richiami e cenni lontani, è man– tenuto in un tono« ineffabile». Sulla, terra, lui, proprio da cittadino non ci sta. Egli è un «girovago», che in nessuna. pa,rte si può « aocasare Jl: e la sua origine di luochese è una riprova, a,l cuore che tutto sa ormai.

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