Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931

·/, Il Manzoni e gli «umili>> 359 dalla storia, la maochina, che la muove come dai burattini i fili che li reggono, nemmeno a,.me mancherebbero· risposte o ipotesi; Potrei dire che fl]. la provvidenza divina che si sostituì al mezzo umano; potrei, rubandoLe una, osservazione assai fine e che un poco Le invidio, dire che l'innocenza,, dopo che si era. rivelata poteri.te al cospetto. di Dio, poteva imporsi da se stessa e senza altro ai uto; pot rei dire anche altro; ma non direi il mio penshiro. Per me le cose sono così perché sono così, e basta. Manzoni non ne aveva costruito la compagine come si monta un mec– canismo; aveva la co scienza di averle tro1ate, non fatte, e non intendeva a spiegarle ma, so.io a- raocontarle. Trovate, certo, nella fantasia, dove, come Ella ricor da, n on sai'ebbero state se egli non le avesse in prece– denza create. Ma le creazioni del poeta, ,se autenti~he, non sono meno in– dipendenti dalle intenzioni, dai desideri, dall'arbitrio dell'uomo, di quel che .sia la stessa realtà di fatto. E poi non bisogna dimenti{?.are che Man– ·zoni le· aveva trovate con la convinzione di aver trovata la stessa realtà di fatto. Tanto di ciò era convinto che trattava quegli avvenimenti im– maginati dalla sua fantasia nello stesso modo in cui aveva ti,a ttato i fatti testimoniati dalla storia e con lo stesso proposito di divina.re da ciò-· che gli uomini avevano fatto ciò che avevano sentito e s offerto. Anche qui, - mi eonsenta di insistere, - i sentimenti derivavano o doveva.no derivare dalla rappresentazione dei fatti, non esserle presup– posti; qu indi l'autore non doveva darli in prestito ai suoi personaggi perché già da lui stati conosciuti e sper;i,mentati, ma divinarli nell'animo dei personaggi come qualche cosa di anc6ra sconosciuto e inas-pettato. Questo la-voro di divinazione gli a,vrebbe rivelata una realtà sentimentale grossolana o delicata ? Non conta. Era quella, che era, e il suo compito era appunto di divinarla, non di crearla. Possiamo dire çhe per Manzoni il grande peccato contro la moralità artistica fosse proprio la idolatria dei sentimenti delicati e peregrini perché tali. Credo opportuno perfino di accentuare la cosa con un'affer– macione un poco paradossale, - ed_Ella intanto si provveda di parecchia sopportazione, ché probabilmente ne avrà bisogno ; - perché io voglio dirLe che, a mio parere, Manzoni, posto fra il Daniele Cortis e il Germ•i. nal, avrebbe dilchiara.to, il secondo meno immorale 'del primo. Avrebbe con– dànnato anc he lo Zola, c erto 1 ); però lo avrebbe condannato non per aver rappresentato una realtà ripugnante (non avrebbe potuto dimenticare di aver detto: « c'est une des plus belles facultés de la poésie que celle d'arréter, à l'aide d'un grand intéret, l'attention sur les phénomènes moraux, que l'ori. ne peut observ,er ·sans répugnance»); ·ma piuttosto per aver creduto che la verità non potesse a,ffermarsi e farsi riconoscere come tal e senza e sagerare i suoi elementi più ripugnanti; ma piuttosto per aver pecca.to contro la realtà stessa indulgendo a preconcetti in ap– parenza con,trari, ma per gli effetti del procedimento artistico identici a 1) :llJ interessante notare che in un certo tempo Manzoni ha a,vuto anche le superstizioni del naturalismo. Egli ha scritto (Mat. estetici, ed. Seherillo, 400) : « Allora le· belle lettere saranno trattate a proposito, quando si riguarderanno <!ome un ram9 delle scien~ morali».

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