Pègaso - anno III - n. 9 - settembre 1931

De Rég.nier moralista 349 Una ve n'è, fra tutte,-che· ferma la nostra attenzione, e non es-cepiù dalla m(')nte: « Vivre avilit ». Perfino l'insistente allitterazione, che fa più acuta la brevità, ne accentua il carattere epigrammatico : è certo la più felice riuscita del nuovo massimista, destinata forse a restare, sola, classica: formula nuda, lapidaria, espressione più concisa di una verità ovvia per ogni buon pessimista. Già onorata di chiose, di varia– zioni: è infatti uno spunto, e si può divagare all'irufinito, le chiose possono andare in, tutte 1,e direzioni. Tra gli alt!'i, Charles Du ·Bos os– serva 1 ) che la vita degrada perché non lasci11,viv'erlil,piegando a tutte le necessità impedisce la riflessione intima., creatrie('), la vera vita. Anche sì potrebbe contraddire a Régnier, naturalmente, ricordando che l'esistenza, è pure un'assidua, generosa battaglia contrò il pericolo dell'avvilimento, che lo sforzo per non cadere, per cadere meno, per rialzarsi, la arriochisce, compensa, bene lo sfiorire inevitabile del fiore mattutino, della purezza che si perde con la prima, etp,. Un'altra osservazione·ci sembra più nuova e profittevole (« Nous pardonnon,s plus aisément le tort que l'on nous fait dans l'esprit d'autrui que le tort que l'on se fait ainsi dans le nòtre »); pure la massima di Régnier rimarrà l'altra brevissima. Non solo per la dizione, che risponde mirabilmente a tutte le ,esigenze del genere, ma, perché vlil:rameinte è la più espressiva dell'uomo,, del moralista. E, in fondo, la conclusione, - o il tema, - di una ricerca, di uno studio, di un libro ehe Régnier non ha; mai fatto. In questa, in altre sentenze è raocolto, condensato il suo pessimismo, non· chiarito, approfondito, ragionato. Così fra i suoi romanzi contemporanei non ce n'~ uno cui si possano applicare, come motto,· le due tristi parole: « vivre avilit ». Il protagonista di La peur de l'amour non è degradato dall'esistenza, neppure si prova a, comba,t– tere: è subito vinto, quasi punito perché avrebbe dovuto astener,si. Il difetto del moralista è anche del romanziere. Altri hanno raccon– tato lo sèadimento umano nel logorìo dell' esistenza, veri oercatori dell'anima e del costume, maestri del .romanzo: Henri de Régnier è solo un poeta, un lirico; Forse gli dispiace lo stesso vestire moderno, - definitivo, immutabile, - come dicev;½Mallarmé, che aggiungeva: « Si j'avais à pe-indre le Jugement dernier, je le peindrais en habit noir». Nel. passato anche il vizio è leggero, grazioso; il gioco della vita, - perché non lo pr,eme fastidiosamente, - gli consola e avviva la fantasia. Una facile morale epif'.uraica è nel passato, che nel pre– sente ,si aggrava in, sgraziata finzione,· in obliqua menzogna. Il lieto istinto vitale si sfoga nelle fantasie lontane, voluttuosamente; l'aristo– crazia intima, sdegnosa, si ven,dica sulle miserie di oggi, freddamente mostrate, senza amore, senza la penetrazione più fonda che nasce dal- l'amore, dalla pietà. · Ma nel po(')ta si conciliano i due uoìnini, il gaio evocatore dei secoli leggiadri e galanti, il giudice aspro della vita odierna: la poesia, è fuori del tempo e del mondo, è il ~ondo stesso del- poeta. L'amarezza del– l'osservatore mondano, fatta più densa con gli anni, doveva bene aprirsi 1) 0HARLEJ3 Du Bos, Extrwits d'un jo·urnal int,ime, pp. 323-24.

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