Pègaso - anno III - n. 8 - agosto 1931

La Valohiria e l' Eroole balbuziente 169 cosa d'i acerbo e di geintile ammorbidiva i risalti delle masse mu– scolari; le curve si innestavamo alle' curve c,on una "grazia casta .... ecco : la castità abitava quelle forme. ·Fu commosso e turbato. E da aliora nel suo Olimpo popolato da quegli abitatori che s'è detto e da molti grilli romantici, svolazzò assiduamente anche quel nuovo pe nsiero : suo figlio, il rampollo maggiore, doveva anc6ra do– venta.re un uomo. E quando sarebbe avvenuto questo? Dove? Come? Perché per il vecchio pittore quel doventare uomo aveva il ,significato preciso d'un avyenimento decisivo, d'un fatto illuovo nella vita del figlio. Doventare un uomo voleva dire, per lui, passare la soglia della pubertà e entrare illella vita. Ma quella soglia, per intendersi, il figlio doveva passarla accompaginato da una donna. Ma quale donna? Ecco il problema. Passeggiava in lungo e in largo per il vasto studio tormentandosi il pizzo bianco. Ogni tanto si fermava e tirava fuori l'orologio; lo fissava distratto, strofinava per un po' la calotta d'9ro con il grosso pollice quadrato e lo ri– metteva nel ta,schino della sottoveste. Quale donna ? Una ·donnac– cia? Una donnetta cinica? Orrore! Ma perché, - si domandava, - queste che dovrebbero essere le ,nozze coin la vita son sempre così mal celebrate, di soppiatto, senza amore, colla prìma. femmina che capita? E il suo volto esprimeva un fiero disgusto. Gli pare~a di vedere in disparte, in Ulllcantuccio, come un bimbo in penitenza, il piccolo Dio faretrato, vergognoso e oiangente con le alucce ripiegate e le ma,nine al viso .... Che bel quadro ci sarebbe da fare! e si fermava di colpo- davanti a un <'a– valletto. Bel quadr-o ! Ma ora 1I1on era il caso di pensare all'arte. La vita! la vita! di questa bisognava occuparsi. E ricominciava a passeggiaré in lungo e in largo per il vasto studio sotto lo sguardo delle sue belve ca,ramellate. Ripensando alla sua giovinezza faceva un gesto come se scac– ciasse le mosche. Ah no, a suo figlio non sarebbe maincato l'aiuto né la guida paterna. E così non ebbe più pace. Questo pensiero, - il dovere di soc– ;orrere l'Eroole balbuziente, - non lo abbrundolllòpiù; doventò fisso e ossessionante. Finché decise d'agire. E, come sempre, fece le cose in grande. Fra le sue molte relazioni mondane trovò la donllla che gli con– veniva. Si chiamava Wanda, era alta un metro e novanta centi– metri, suolllava l'arpa e cantava e parlava male in moltissime lingue. Quando cantava lanciando a intervalli .regolari un grande ululato, pareva d'essere !lleidintorni d'una fabbrica verso l'ora che la sirena richiama gli operai. Un vecchio giornalista maligno la chiamava la_Torre di Babele. BibliotecaGino Bianco

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