Pègaso - anno III - n. 8 - agosto 1931

246 E. 1"ION'l'.A.U:, Ossi di seppia coltello che recide » « la mente che decide e si determina ». Anche le pa,role, che cosa sono esse ? Non quelle che squadrino da ogni lat9 l'animo, sibbene poche sillabe « storte e secche come un ramo». Oh l'altre «salmastre», in cui « na,tura e arte si confondono» e che .un mo– mento sognò ! Pure, ferme sono, acute, sicur•e; e àgli « inafferrati eventi >> che l'occhio indaga,,. da.uno una forza,, e quel pa,rlare affettuoso, dolente, un poco sordo, in cui si ·è sciolto il nodo ìnterno, e che è natura e arte insieme, pena soffer41, e pena nel tempo ,stesso distaccata, confe~ione e giudizio. Donde quel definirsi. quasi criticamente e quel cantare insieme. Questa è la cima della poesia, di Montale : e la ritrovi nei due quasi contemporanéi gruppi, Ossi di seppia e Med·iterram,eo, più_ anco~a in Mediterraneo, dove cinque liriche fanno centro, e così disposte come sono variano il tono d'una personalissima elegia che nasce da un ripie– gamento e quasi coinvoluzione, e arriva alla preghiera ( « Giunge a volta repente >i, « Noi non sappiamo quale sortiremo », « Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale», « Potessi almeno costringere», « Di,ssipa tu se lo vuoi»). Elegia nel senso buono•, meditativo, con sempre un sapor d'anima e d'intelligenza costantemente pesato e equilibrato, e con parol0 intense che fanno nasoore e fiorire il discorso poetico. Qui non c'è vizio. Se mai i dubbi sulla vitalità, e unità lirica nascerebbero al vedere come Montale, altrove, e proprio in componimenti più maturi, insiste su temi a, lui familiari, dopo sgorgato quel primo canto. La poesia che in apparenza allora campeggia in giri strofici più vasti, invece si frantuma, se pure ràggiunge un annotare acutissimo. L'età adulta d'artista si direbbe gli porti immobilità e perplessità. E la, lingua stessa prima continuamente inv,entiva, rapida, gli ,si fa lenta e enumerativa. Solo dove canta « in minore» è dato di ritrovare l'antico dono, in.Maestrale, o in margine alla sua for,se più ambiziosa lirica, Arsenio, là dove nomina la Canicola, e vede il fulmine descrivere un prezioso arabesco nel cielo di sera; e ode il tuono quasi come nelle favole. Ma il canto qua.si mai « dura» più : o ripete la cadenza iniziale. L'elegiaco, il descrittore e l'interprete delle · proprie sensazioni e della propria pena, s'aspetta ora, che diventi lo sto_– rico del suo dolore. G1usEPPEDE RoBERTIS. GIUSEPP.El ANTONIO BORGESE, 'l'empesta nel oolla. Romanzo. - Monda- . dori,- Mila:p.o,1931. L. 12. La « nota informativa» dell':editore, che _accompagna Tempesta ~el n·ulla, il nuovo ròmanzo di G. A. Borgese, conclude col dire che « esso è più che un -libro: è un canto». Alcuni critici e recensori hanno an– ch'essi ripreso il motivo; e. il libro è stato o•rmai presentato a,,i lettori -come un'opera fuori quadro, che non è racconto o romanzo, non è auto– biografia. né diario, non filosofia e non poesia, ma è tutto, questo un po', espresso e «potenziato» in modo nuovo; quale.osa, in:,omma, di ineffabile. Confesso un'istintiva diffidenza per l'inefl'a,bile in genere e in particolare nella critica. Troppo spesso l'ineffabile della critica sta soltanto a. na,scondere la reticenza del critico e insieme il difetto del– l'autore. Nel caso particolare, e.redo che si possa rendere onesta,mente BibliotecaGino Bianco

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