Pègaso - anno III - n. 8 - agosto 1931

244 E. MON'l'ALE, Ossi di seppia scrittura per prosa. Ma prosa non è: ha spesso un andamento d'esa– metro, è, a ogni modo, verso ricco, con un suo fermo passo e, per ser– virmi delle ,sue parole stesse, anche, con un fermo paisso leggero, - che è la grazia di quel mondo chiaro a, sé, di quel fuoco che s'è ,detto, e di" quella, rkchezza. E si sa che la graq,ia,, quella veramente gentile, non è della poesia graziosa a oltranza, ma, dell'altra che proprio è più dura, petrosa, scabra,, e nasce come un dono; quamlo il groppo si scioglie. • Oi-a, questa novità iniziale, questo peso, fanno distinguere _certe ca,– denze elegiache, particolari alla poetica, di Montale, dall'aria pigra, dal– l'aria grigia dei «crepuscolari». Dirò anzi che, in Montale, quelle ca– denze sono inavvertitamente preparate a tal segno da parere improvvise, come fossero per un subitaneo moto interno; e nei « crepuscolari Jl la poesia è tutta, una cadenza, che quasi senti prima ancora che t'arrivino le parole, e ti par di entrare in u11a stanza viziata. Il rimpianto della prussata fanciullezza, ad esempio, che in Montale è un sentimento virile, e veramente s'aiuta con delo e terra, toeeando l'isonanze cosmiche, anche se a traverso il freddo filtro dell'intelligenza e come ìn una luce di vetro, in quei poeti stanchi è idillico idoleggia– mento d'un mondo piccino a posta, falso, di cartavelina: e già anche le parole stesse cominciano a ·non essere, e a non dire, invece di essere e di dire. Furono i «crepuscolari», salvo errore, a sopprimere la « scrit– tura Jl, a, scancellare la lingua. Quando Montale, chiudendo Falsetto con quella stretta finale (« '.ri guardiamo noi, dclla razza Di chi rimane a terra))), saluta Esterina, giovane di vent'anni, ardita, che con, un solo « crollair di spalle Jl « di– rocca i fortilizi» del suo « domani oscuro», e non teme il mare, e vi si abbandona come tra le braccia di un amico, ridendo; o quando, a veder pa,ssare e sparir,e un popolo di fanciulli in marcia, in Caffè a Rapallo, li sogna improvvisamente arrivati come in un Eden daJ. ·quale egli si sente per sempre escluso, e par ,che'elica la più. umile cosa (« L'accolse la pastura Che per noi più non verdeggia»): tu a,vverti proprio e misuri la distanza nel tempo delle due età, quasi t'affacci a un abisso, e respiri a.ria grande, aria mitica. Un.a parola come pastura, nel suo senso pieno, solo un poeta può inventarla-; e non è ca,priccio dell'intelligenza, ma necessaria e ordinata potenza d'una vita e d'un pensiero che hanno ra– dici sotterranee. I ricordi dannunziani, di rime e di armonie (« La dubbia dimane non t'impaura » « Che il tuono recente impaurai Jl), o di classiche eleganze(« L'intento viso che assembra L'a-rciera Diana»), o d'un natu– rismo faeHe ormai (« Noi ti pensiamo come un'alga, un ciottolo, Come un'equorea creatura ecc.»), qui certo sono un vizio, dove d'epidermide e letterario soltanto, è dove più interno : e Montale quello poi rigettò senz'a-ltro, questo rivisse, a modo -suo, da capo, e fece cardine del suo mondo. Che, bisogna dire, non è un mondo elementare, né, tan.to meno, cantato con eloquente e estemporanea. gioia, sibbene scrut ato a fondo, - e prima sofferto con pena grande, - e espresso con un linguaggio sca– bro e seccamente sillabato. Di questa sillabazione è piena già una tra le primissime liriche di Montale, Meriggiare pallido e assorto, che, per esser tale, e scritta a vent'anni, spiegherebbe, oltre al compiacimento per accenti cosi nudi, BibliotecaGino Bi,anco

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