Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

60 G. M. Gatti mente a Strawinsky ed a Satie, al circo equestre ecl al music-hall, ma la sua sèmlibilità, 1~ passata immune attraverso a queste peri– colose avventure, in cui lo snobismo e la letteratura avevano libero corso. A leggere le opere di Poulenc, dai Mouvements perpétuels, che sono del 1918, al Ooncert champétre ch'è dell'anno scorso, s'ha l'impressione che la semplicità dei modi, più che negli altri è in lui frutto spontaneo di natura; altrettanto si può dire della gaiezza e festosità, da cui sono illuminate le Sonate per istrumenti a fiato, ànche se l'in11uenza dello Strawinsky dell' Histoire du Soldat e di P1tlcinella vi pesi fuor di misura. Ma al tempo stesso cbe in tutte quelle opere la natura del musicista non subisce limitazione né soffre costrizioni e costituisce il fondo ric01~oscibile a.d ogni pagina, è evi– dente la, ricerca di una forma suscettibile di sviluppo, di continuità interna, di composizione: ricerca che si· fa sempre più assillante negli ultimi l avori e che nel Concerto campestre raggiunge final– mente il punto desidera.to . Già il Tri o per istrum enti a fiato e pianoforte del 1926, pur trastullandosi anc6ra con i temi soliti dell'opera buffa italiana, nel gioco di abrn,ate caélenze, ha, una forza di condensazione e di rinun– cia volonfaria che l'innalza assai sulle Sonate e sulle Biches : nel Ooncerto campestre, finalmente, l'equilibrio fra il temperamento del compositore, - chè non va esente da venature romantiche e da una certa riservata malinconia, -- e l'esigenza della forma vaghPg– giata si rea-li½zain pieno, aggiungendosi ad ei'l"lO, inatteso per _tutti e probabilmente per lo stesso autore, una nuova unità d'ordine strettamente musicale fra la personalità armonica di lui e quella strumentale del clavicembalo, per cui il Concerto è stato pensato. Wanda Landowska diceva che, per virtù di una miracolosa affinità di natura, Poulenc era riuscito primo fra i moderni a sentire la personalità dell'istrumento settecentesco ed a pensare claviceinbali– sticamente la sua musica, senza ombra d'arcaismi artificiosi ed eruditi. La sonorità del cembalo, che ha un suo sapore elegiaco anche nei momenti di maggior vivacità l'.itmica, si confà· idea,lmente a quella fantasia autunnale, dove gli echi di una caccia attraverso foreste già un poco spoglie, su di un tappeto di foglie color di ruggine, rispondono alla meditazione di un « promeneur solitaire ». Richiami di corni in lontananza, squilli di hallalì, vel~cissim~ fug·he; soste; l'ultimo saluto del sole, le ombre smisurate dei fago-i · ~e il t . h ' d . 0 ' nos ro poeta c e s attar. a m una radura e finge un amoroso collo- quio, forse l'ultimo, tenero e malinconioso; un brivido, un ultimo richiamo, l'eco lontanante del corno che raduna la brigàta (« Dieu ! que le son du cor est triste au fond des bois !))). Tutte queste sen– sazioni, questi sentimenti si seguono, si suggeriscono a vicenda, espres8i con una decisione di linee, con una purezza di colori che suonano nuove agli orecchi avvezzi al vago, al fluido rlell'impres- BibliotecaGino Bianco

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