Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931
/ Il « Ritorno alla semplicità>> in alcuni giovani compositorifrnncesi 59 dove non è rimaHto che l'elementare binomio affettivo: amore e dolore (l'introduzione dei quattro animali, già guariti da Orfeo, non muta il tono dell'azione, tallto famigliare, domestico e verosimile ci pare il linguaggio di essi). Armand Lu nel ha fatto di questo Orfeo un modesto popolano della Camargue, ma di tanto son scemati i suoi attributi mitologici di quanto è accresciuto il suo prestigio umano, accanto a uomini della sua stessa condizione, ma come a lui inferiori per capacità d'intender la poesia della vita e la bellezza del sacrificio. · Sullo stesso piano, ma un passo ancor più innanzi verso quello che potrebbe diventar da un momento all'altro il difetto di questa semplificazione, cioè l'ellittismo, sta la complai-nte di Jean Uocteau, Le Pauvre Matelot. Qui il tema è anc6ra più modesto e lo svolgi– mento più ìineare, senza soste e senza. soluzione ili continuità; scena unica, con due case ai lati di una stretta viuzza che conduce al mare, una striscia azzurra sul fondale; e le case s'illuminano e si oscurano a vicenda, secondo che l'azione ha luogo nell'una o nel– l'altra. Nelle poche scene, - la presentazione della moglie del ma– rinaio, del pa.dre e dell'amico che vorrebbe sposarla, l'arrivo inat– teso del marinaio dopo la lunga assenza, la finzione per cui egli è accolto nella casa sua come l'amico di colui che dovrebbe ritornare tra breve, l'ultima scena in cni la donna l'uccide a martellate nel sonno per derubarlo, - sono condensati l'orrore, la tristezza, il tragico quotidiano, la brutalità del destino, di un banale fatto di cronaca. Sin dalle battute di giava, che s'odono all'inizio dell'opera, il musicista riesce a trasporta.rei nell'atmosfera allucinante del dramma e ci tiene avvinti ad esso con i mezzi musicali phì diretti (come il fluire continuo di una melodia che non ci suggerisce un preciso ricordo ma quello di tutte le canzoni popolari che abbiamo udito, la persistenza del ritmo 6/8); e questo è sufficiente per di– stinguere il saggio teatrale di Milhaud dai molti altri, dai troppi altri, che ogni giorno ci son presentati, da operisti senza convin– zione. Altro mondo e altro clima, anc6ra, con Francis Poulenc. Il tem– peramento dell'autòre delle Biches ci appare subito come uno dei più nutriti e allo stesso tempo più raffinati che la Francia moderna possa vantare. Nessuno dei suoi coetanei ha un gusto aìtrettanto sicuro al servizio di una natura sì fresca e giovanile. Anche Poulenc è passato attraverso a molte influenze ed ha commesso i suoi errori giovanili (cioè ha scritto delle pagine che oggi non contan più nulla, né per lui né per noi) : ha avuto anche lui il suo momento di « ne– grofilia)) (anzi è stato addirittura «lanciato)) dalla prima esecu– zione della Rapsodie nègre, verso la fine del 1917, quando cioè il musicista non aveva che diciotto anni) : ha sacrificato successiva- lioteca Gino Bianco
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