Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931
• Aspetti di Padova 47 passionato parlare, vedendo ad ora ad ora apparire sotto le arcate più ampie i disegni lucenti delle costellazioni, che parevano chiu– dere nei termini d'un teorema di geometria .la ragione del nostro .essere e dell'essere universale. La fama, le grandi fortune non en– travano, potrei gh1rare, nei nostri sogni; avevamo delle ambizioni più alte, allora .... E la vecchia Padova non solo ci lasciava dire, ma ingrandiva col suo silenzio e coi suoi echi le nostre parole, le rendeva più credibili e belle. Quante generazioni di ventenni non aveva visto passare prima di noi per le corsie dei suoi portici; quante· fantasie di giovinezza non aveva covato sott o le sue ali di buona chioccia! Essa ci maturava così, più che a.na laurea, alla vita; poi– ché mi par certo che nulla conforti e sfo rzi a ben vivere, cioè a sof– frire senza avvilirsi, quanto l'aver dietro di sé una giovinezza che donò fede intera ai suoi sogni). Vent'anni d'assenza; salvo qualche rapido passaggio ai giorni della guerra, quando non c'era più niente da ricordare, perché il passato pareva perduto, bruciato, non esistito mai. E adesso sono tornato. Tornare, dopo tanto tempo, ai luoghi della giovinezza è consta– tare a ogni passo la propria morte. Quante volte si muore nello spazio d'una vita ? Mi guardo attorno, distinguo cose vecchie e cose nuove (Padova è diventata quasi una grande città) ; ma mi pare che le une e le altre mi siano egualmente, e irrimediabilmente, straniere. Questo, dunque, è il Santo : riconosco il rosso sbiadito, polve– roso, della vasta fiancata, e quello ardente dei minaretti, che bucano il cielo con le acute cuspidi e lascian cader giù le loro ombre, in– curvate, su le calotte delle cupole grigie. Questo è l'Orto botanico, col suo piazzale rotondo cinto di balaustre eleganti, con l'araucaria secolare, e la palma di Goethe, e i pini marittimi, e le erme mito– logiche: netto e preciso di disegno come una stampa del primo otto– cento. In Pra' della Valle mi siedo su le panchine di marmo levigato, all'ombra dei platani giganti, e guardo i bimbi che giocano i miei stessi giochi d'allora; poi faccio tutto il giro del recinto, leggendo i nomi incisi sotto le statue: Albertino Mussato, Pietro d'Abano, Antenore, Melchior Cesarotti, Trasea Feto .... Ora mi vengono in– contro strade e stradine che il piccone non ha ancor toccato, e di cui conosco ogni segreto: so che dietro quel muro c'è l'orto delle Dimesse, e dietro quell'altro la Sala anatomica; so che laggiù s'apre una piazzetta erbosa con un vecchio cipresso spennacchiato nel mezw, e che poco oltre c'è una piazza più ampia, ombrata di belli ippocastani, serrata in fondo dalle mura gialle della Casa di Pena. Le mie impressioni si complicano di curiosità storiche : qui fu la casa del Petrarca; ecco un angolo romantico, - giardini sul bflo eca Gino Bianco
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